La sacramentalità del diaconato

nel Documento della CTI “Il diaconato: evoluzione e prospettive”

Diác. Enzo Petrolino

Presidente de la Comunità del Diaconato in Italia

Referente Nacional del CIDAL en Italia

Gallico Marina – R.C., Italia, 2 de marzo de 2011

epetrolino@libero.it

 

PREMESSA

 

L’approfondimento della sacramentalità  del Diaconato ha costituito in questi anni post-conciliari uno degli elementi più interessanti della riflessione teologica sul diaconato. A questo aspetto il documento della CTI “Il Diaconato: evoluzione e prospettive” dedica tutto il Cap. IV e una sezione del Cap. VII, quando nella II parte tratta appunto delle Implicazioni della sacramentalità del diaconato.

 

Rispetto a tale questione si coglie nel documento un atteggiamento di immeditata apertura e di attenta riflessione: “La sacramentalità del diaconato” – viene detto – “è un problema che rimane implicito nelle testimonianze bibliche, patristiche e liturgiche da noi sin qui esposte. Occorre vedere come la Chiesa ne ha preso coscienza esplicita”. Sulla base di questa premessa, prende l’avvio un accurato excursus storico che abbraccia un lungo periodo, dal XII  al XX secolo, in cui il diaconato costituisce solo una tappa verso il presbiterato. Si passa così da S. Tommaso d’Aquino a Trento, fino alle soglie del Concilio Vaticano II.

 

Ma torniamo alla questione che sta al cuore del documento stesso, ossia quella della sacramentalità e delle implicazioni che ne conseguono. Anche se nel dibattito conciliare che ha portato al ripristino del ministero diaconale non c’è stata un’unanimità rispetto a tale problematica, tanto che il Concilio stesso non è riuscito a dissipare tutte le incertezze emerse durante le discussioni, non vi è dubbio che la maggioranza ha sostenuto la natura sacramentale del diaconato: tra i documenti conciliari (cfr: SC, 86; LG, 20,28,29,41; OE, 17; CD, 25; AG, 15, 16) l’affermazione riferita più direttamente alla sacramentalità del diaconato sicuramente rimane LG 29a, dove si dice che “sostenuti dalla grazia sacramentale” (Gratia enim sacramentali roborati)  i diaconi esercitano la diaconia della Parola, della Liturgia e della Carità, e a tale affermazione può aggiungersi AG 16f, dove si auspica la restaurazione “dell’ordine diaconale come stato permanente” poiché “è bene che uomini che già esercitano un ministero veramente diaconale … siano conformati e stabilizzati per mezzo della imposizione delle mani … per poter esplicitare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato”.

 

Il documento richiama, inoltre, 5 testi postconciliari che hanno sviluppato la questione della sacramentalità del diaconato: i due  motu proprio di Paolo VI Sacrum diaconatus ordinem (‘67) e Ad pascendum (‘72), il Codice di DC (can. 1008-1009), il Catechismo della Chiesa Cattolica ed infine la Ratio fundamentalis (‘98). Viene altresì riportata la posizione di alcuni teologi rispetto a tale questione, in particolare quella del canonista Beyer che, in un articolo del ‘97 apparso su “Quaderni di Diritto ecclesiale”, commenta i testi conciliari nell’ottica di una problematicità che io qui semplicisticamente sintetizzo citando dal documento stesso l’espressione “incertidudo doctrinae”, perché –così viene detto – “per assicurare la natura sacramentale del diaconato non basta né l’opinione maggioritaria dei teologi, né la sola imposizione delle mani, né la sola descrizione del rito di ordinazione”.

 

Ma proprio da questo ultimo punto, invece, io vorrei partire per riflettere sulla possibilità di approfondire l’importante problematica della sacramentalità del diaconato attraverso un’attenta (ri)lettura  del Rito di Ordinazione[1], pubblicato da Paolo VI subito dopo il Concilio e promulgato in lingua italiana dalla CEI nella prima editio typica del 25 No­vembre 1979 e, successivamente, nella seconda del 29 novembre 1992. Si tratta di un percorso importante per la nostra riflessione, non solo perché il Rito manifesta il dettato conciliare sulla liturgia, ma perché esso significa una sorta di esplicitazione del cap. III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium. Tutto questo assume una connotazione particolare in ordine alla teologia del Ministero ordinato così come si è delineata durante il Concilio e successivamente nell’immediato post-concilio. Il noto “adagio” teologico Lex orandi – Lex credendi[2] ci dice come il dispiegarsi delle acquisi­zioni teologiche sul Ministero ordinato sono assunte nel contesto vitale della preghiera liturgica.

 

I vescovi italiani, a tale proposito, nelle Premesse al Ri­to (I editio typica) scrivono: «La pubblicazione in lingua italiana del rito dell’Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi vuole essere non solo necessario adempimento della riforma liturgica, ma anche un invito ad una rinnovata catechesi, di cui la liturgia è fonte inesauribile, sul significato e l’importanza dei mini­steri nella vita della Chiesa».

 

Gli aspetti essenziali sulla sacramentalità ed identità del diaconato che emergono dalla  preghiera di ordinazione si collocano dentro un preciso contesto “evocativo (anamnesi), consacratorio (epiclesi) ed invocativo (intercessioni): la preghiera presenta in ef­fetti quelli che sono gli elementi fondamentali relativi all’identità teologica del diacono: a) il suo inserimento nel mysterium salutis, nella continuità del mistero fondamentale di Cristo e della Chiesa entro cui si colloca in modo inseparabile il Ministero ordinato nei suoi tre gradi; b) la sacramentalità specifica dell’ordo diaconalis sia come ordinazione che come ordine proprio e permanente nella Chiesa; c) la spiritualità tipicamente ministeriale del diacono e le virtù che gli sono richieste per il compimento della sua missione” [3]. Sono queste le tre coordinate teologiche essenziali che, a mio avviso, bisogna cercare di verificare ed ulteriormente approfondire.

 

Il legame indissociabile tra Chiesa e Ministero ordinato viene evidenziato dalle stesse «Premesse» del Rito in relazione a tre dati eccle­siologici fondamentali: la sacramentalità della Chiesa, ossia il suo essere sacramento di Cristo, attraverso un armonico e reciproco interagire – nell’accoglienza dei doni dello Spirito – «di ministeri di presidenza e di servizio nelle assemblee del popolo cristiano radunato per la glorificazione di Dio e la santificazione degli uomini» (Premesse II, 1); la sua natura costitutivamente «koinonica», ossia il suo essere “per natura” una comunione, un corpo articolato secondo una varietà di ministeri e di carismi liberamente suscitati e largamente distribuiti dallo Spirito per la crescita ed il bene comune: «La preghiera di ordinazione dei diaconi fa risaltare questa re
altà della Chiesa: corpo del Cristo, varia e molteplice nei suoi carismi, artico­lata e compatta nelle sue membra, che mediante i tre gradi del mini­stero cresce e si edifica come tempio vivente in comunione di fede e di amore»
(II, 2); la complementarietà tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli, ossia l’intimo rapporto di reciprocità in termini di servizio che unisce i ministri ordinati e tutti i fedeli nella comunione della vita ecclesiale – Popolo dei salvati in Cristo: «I Vescovi, successori degli Apostoli, per esercitare in modo pieno ed efficace il ministero, devono essere coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi e inoltre da vari ministeri e ca­rismi, suscitati dallo Spirito secondo i bisogni dei luoghi e dei tempi, che è loro compito discernere, promuovere e valorizzare» (II, 3).

 

Anche se è detto nelle Premesse del Rito che i Diaconi sono animatori della vocazione di servizio della Chiesa, in comunione con il Vescovo e con il suo Presbiterio (IV, 3), rimane il fatto che in ciascuno dei tre gradi dell’ordine «sono, in modo particolare, configurati al Signore Risorto dal segno del carattere indelebilmente impresso nelle loro persone e sono impegnati a realizzare una unione sempre più intima con lui di cui sono strumenti nella grande opera di salvezza» (V). Già Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi afferma che l’opera dell’evangelizzazione impegna «i nostri fratelli nell’Episcopato alla guida delle chiese particolari, i Presbiteri e i Diaconi, uniti con i propri Vescovi, di cui sono coope­ratori, mediante una comunione che ha la sua sorgente nel Sacramento dell’Ordine sacro e nella carità stessa della Chiesa» (EN 68).

 

LA SACRAMENTALITÀ DEL DIACONATO NELLA PREGHIERA DI ORDINAZIONE

 

La preghiera di ordinazione richiama più volte e in forme diverse il “carattere indelebile” che il Rito imprime nel “consacrato/diacono”, tanto da costituire quasi – nel suo articolarsi – una sorta di graduale esplicazione della sacramentalità specifica del ministero diaconale: «In antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo. Agli inizi della tua Chiesa gli apostoli del tuo Figlio, guidati dallo Spirito Santo, scelsero sette uomini stimati dal popolo, come collaboratori nel ministero. Con la preghiera e con l’imposizione delle mani, affidarono loro il servizio della carità, per potersi dedicare pienamente all’ora­zione e all’annunzio della parola».

Nel momento invocativo dell’effusione dello Spirito sul candidato, la preghiera di ordinazione diaconale è “una vera e propria consacrazione di ordine sacramentale” Ora, o Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio che noi consacriamo come diacono, perché serva al tuo altare nella santa Chiesa. Ti supplichiamo, o Signore, effondi in lui lo Spirito Santo, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del ministero».

«Queste parole – dice Ferraro –  costituiscono la formula essenziale dell’ordine diaconale, sono richieste per la validità dell’ordinazione e insieme con tutta la pre­ghiera di ordinazione specificano l’imposizione delle mani comune ai tre ordini secondo la grazia propria dell’ordine del diaconato. Tutta la preghiera di ordinazione è la “forma” del sacramento dell’Ordine nel grado in cui viene conferito. La fissazione di una parte come essenziale per la validità è disposizione positiva della suprema auto­rità apostolica».[4]

 

Nella preghiera di ordinazione, dunque,  il dono dello Spirito invocato sul candidato è differente da quello ricevuto da ogni credente col Battesimo e con la Cresima: esso opera in lui una trasformazione, rendendolo soprannaturalmente somigliante a Cristo Servo e capace di rappresentarlo sacramentalmente nella Chiesa – al cui servizio egli porrà tutto il suo essere – e nel mondo – dove egli sarà segno visibile della “diakonia” del Signore.

 

Il dono dello Spirito, quindi, imprime nel diacono un indelebile carattere sacramentale ed è per la sua vita ministeriale fonte di grazia. Il riferimento dell’epiclesi ai “sette doni dello Spirito” esprime proprio questa abbondanza di effetti spirituali. In questa luce si recupera anche il significato della dottrina sul carattere sacramentale elaborata dalla Scolastica in relazione all’effetto permanente del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine sacro. Secondo san Tommaso[5], infatti, rispetto ai primi due sacramenti, che già conferiscono “il potere spirituale ricompiere alcune azioni sacre” e “una certa partecipazione al sacerdozio di Cristo”, l’Ordine conferisce il potere di amministrare i sacramenti agli altri fedeli; non solo, ma è proprio l’ordinazione diaconale – egli continua –che conferisce al candidato il “carattere sacramentale” e lo abilita a quei compiti che competono solo a lui e non ai fedeli laici: «Alcuni affermano che solo nell’ordine sacerdotale viene im­presso il carattere. Ma ciò non è vero, perché nessuno che non sia diacono può lecitamente compiere atti del diacono. Ed è perciò chiaro che egli ha nell’amministrazione dei sacramenti un potere che altri non hanno».

 

La configurazione a Cristo attraverso l’ordinazione sacramentale avviene in modo tale che «ogni ministro è immagine di Cristo sotto un determinato aspetto».

L’ordinazione diaconale

 

L’ordinazione diaconale, dunque, non è paragonabile a una qualche delega o deputa­zione da parte della comunità; al contrario, essa è una vera consacrazione – stato di vita permanente – che rende l’ordinato segno e strumento sacramentale del Salvatore a servizio del popolo di Dio in cammino nella storia. L’inclusione del diacono nel Ministero ordinato, si colloca nella partecipazione propria alla sacramentalità dell’episcopato, il quale racchiu­de la pienezza del Sacramento dell’Ordine (LG 21), pienezza che solo questo ministero può trasmettere al pre­sbitero e al diacono. Giustamente qualcuno osserva che il sacramento dell’Ordine va inteso, oltre che come ascendente – conferibile cioè per gradi successivi dal diaconato fino all’epi­scopato, – innanzitutto come discendente, perché istituito da Cristo stesso e reso effettivo dalla missione dello Spirito, trasmesso agli Apostoli, che a loro volta lo hanno comunicato ai loro successori, i vescovi, i quali lo partecipano ai presbiteri e ai diaconi secondo i loro rispettivi gradi.

 

Proprio per questo, l’ordine sacramentale del diaconato è in se “compiuto” e “permanente” e la sua sacramentalità si innesta direttamente su quella del ministero episcopale, del quale il ministero diaconale è partecipazione e collaborazione. Tutto ciò può ovviamente assumere valore, credibilità e significato anche pastorale solo all’interno di una “comunione vissuta” non solo con il Vescovo, ma anche con il presbitero, secondo la già citata affermazione della Lumen Gentium al n. 29: “sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio”.

 

Anche se la partecipazione sacramentale del diaconato al ministero del Vescovo è  diversa da quella del presbiterato, è tuttavia pienamente
reale ed ha un suo “proprium”, una sua specificità: essa si configura, infatti, come “assistenza” ai vescovi e ai presbiteri e come “servizio insostituibile” all’intera comunità ecclesiale.

 

«Non ad sacerdotium, sed ad ministerium» 

 

Un problema particolare che in questi anni si è tanto dibattuto sulla teologia del diaconato e che lo stesso documento affronta ai nn. 3 e 4 della III parte del Cap. VII riguarda l’identità teologica del Diaconato. L’interrogativo che viene posto è quello di come va intesa la formula conciliare (LG 29) secondo la quale le mani ai diaconi sono imposte «non per il sacerdozio, ma per il ministero».

 

Come si sa la frase è presa dalle Constitutiones Ecclesiae Aegyptiacae le quali sono un adattamento della Traditio Apostolica di Ippolito. Nel testo delle Constitutiones si dice precisamente: “non ad sacerdotium, sed ad ministerium episcopi”. Negli Statuta Ecclesiae antiqua l’espressione entra senza il genitivo “episcopi”; formula che successivamente è entrata nel Rito di ordinazione del Pontificale Romano.

 

Sicuramente il testo così come lo troviamo nella LG esprime un dato teologico presente nella tradizione della chiesa, quello di evidenziare che al diacono non spetta la presidenza dell’Eucaristia e l’assoluzione sacra­mentale. Questa preoccupazione ha indubbiamente inficiato per un verso la ricerca teologica sul ministero diaconale.

 

Anche se il documento della CTI dice che “il Vaticano II non fa alcuna affermazione esplicita a proposito del carattere sacramentale del diaconato” (Cap. VII, II – 2), sicuramente c’è da ricordare che la Lumen Gentium dice che nella Chiesa esistono due ordini di sacerdozio, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, distinti essenzialmente tra loro, e non solo di grado, e insieme profonda­mente ordinati l’uno all’altro: «II sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (LG 10). Ora, se il ministero diaconale è “un grado gerarchico proprio e perma­nente della Chiesa”, conferito attraverso il Sacra­mento dell’Ordine, è chiaro che l’espressione va letta non come esclusione del diacono dalla  partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo, bensì come chiarificazione dei “compiti” ministeriali – il diacono non può presiedere l’eucaristia e riconciliare sacramentalmente i battezzati con la Chiesa e con Dio –  e distinzione propria della sua adesione sacramentale a Cristo rispetto a quella battesimale che accomuna gli altri fedeli.

 

Inoltre è da tenere presente che la formula “ …non ad sacerdotium, sed ad ministerium” ha una sua  particolare connotazione cultuale che richiama il “proprium” del ministero diaconale, cioè la diakonia. Un “servizio” che ha uno stretto legame al sacerdozio ministeriale del Vescovo e dei Presbiteri e si congiunge al sacerdozio comune di tutti i fedeli. Una diakonia che ha la sua fonte ed il suo culmine nel servizio al banchetto della Parola e dell’Eucaristia e con il servizio ai poveri.

 

Ci si potrebbe a questo punto chiedere: il ministero “sacerdotale” dei diaconi, allora, può considerarsi come una sorta di ministero intermedio? Il documento della CTI  non è d’accordo nell’attribuire al diacono la funzione mediatrice o di ponte tra la gerarchia ed il popolo. L’espressione “medius ordo” si trova soltantanto nel motu proprio Ad pascendum . Per la CTI sarebbe un errore teologico identificare il diaconato in quanto “medius ordo” con una specie di realtà (sacramentale?) intermedia tra i battezzati e gli ordinati, perché – sempre secondo il documento – non è teologicamente esatto fare ti tale compito di mediazione l’espressione della sua natura teologica o della sua specificità.

DALLA PREGHIERA DI ORDINAZIONE ALLA SPIRITUALITÀ DI SERVIZIO

 

La preghiera di ordinazione diaconale esplicita in maniera chiara il  significato fondamentale della diaconia ministeriale, che è quella del servizio. Il diacono è chiamato ad essere presenza e segno del Signore Gesù-Servo del Padre, il quale non venne per essere servito ma per servire. Ed il suo ministero si colloca all’interno dei tre alvei costitutivi la vita della Chiesa: la liturgia, l’evangelizzazione e la testimonianza della carità.

 

Infatti la LG, elencando i compiti che possono essere affidati ai diaconi, afferma che «È ufficio del Diacono, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’eucaristia, in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e assistenza, i Diaconi si ricordino del monito di san Policarpo: “Mise­ricordiosi, attivi, camminanti nella verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti” » (LG 29).

 

Non c’è dubbio che la spiritualità del diacono è essenzialmente in modo radicale una spiritualità di servizio.  Nel motu proprio AP (Intr.), Paolo VI dice appunto che il diacono è  “animatore del servizio, ossia della diaconia della Chiesa, presso le comunità cri­stiane locali, segno e sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire”. Anche se il documento della CTI – giustamente – sottolinea che questa dimensione è denominatore comune di tutti i ministeri nella Chiesa, è pur vero che per il diacono essa è lo specifico. Avevano visto bene i vescovi italiani nel lontano 1977 quando, nella nota Evangelizzazione e Ministeri, affermavano che “Col ripristino del Diaconato permanente la Chiesa ha la consapevolezza di accogliere un dono dello Spirito e di immettere così nel tessuto del corpo eccle­siale energie cariche di una grazia peculiare e sacramentale, capaci perciò di maggiore fecondità pastorale” (CEI EM, 60).

 

Infine, dalle premesse al Rito di ordinazione possiamo cogliere non solo che lo Spirito Santo è il principio fontale dei Ministeri ordinati nella Chiesa, ma anche come il diacono sia configurato a Cristo Servo: «è la diaconia del Cristo il principio costitutivo ed esemplare dei Ministeri ordinati; ad essa si richiamano le significative immagini che esprimono la missione affidata dal Padre al Verbo fatto uomo. Esse illuminano la precisa fisionomia della missione e della vita del Popolo di Dio e la pro­spettiva essenziale dei ministeri e della spiritualità che li anima» (Premesse, I). Dunque l’aspetto proprio e specifico della missione del diacono è, come è stato già precedentemente sottolineato, quello del servizio, egli è l’icona vivente della diaconia stessa del Cristo Signore.

 

Se questa ministerialità è di tutta la Chiesa nel suo insieme e dei singoli ministeri nella loro specificità, i diaconi sono “espressione e animazione” particolare, così come è sottolineato dalla preghiera di ordinazione nella quale emerge la caratterizzazione teologia ed ecclesiologia del ministero diaconale: «Sia immagine del tuo Figlio,
che non venne per essere servito, ma per servire
».

 

“Il Diaconato Permanente alla luce del Magistero postconciliare”

 

Muchos lectores han solicitado al Diác. Enzo Petrolino la traducción de su artículo que tiene ese título y que fuera publicado en el nº 73 de este Informativo, págs. 13 a 25. El autor anuncia que se encuentra abocado a su traducción y que nos la ofrecerá en cuanto la concluya.

 



[1] Cfr. C. Rocchetta, L’identità teologica del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV. Il diaconato permanente, Napoli, 1983.

[2] Famoso detto di Prospero di Aquitania: il modo in cui si prega nella liturgia indica ciò che si deve credere; e ciò che si deve credere influisce sul modo di pregare; la liturgia è, o implica, un certo modo di proporre la fede all’adesione dei fedeli, ed è, o im­plica, una certa espressione di questa fede del popolo. Si aggiunge: la liturgia è il luogo ordinario della manifestazione della nostra fede.

[3] Cfr. C. Rocchetta, L’identità teologica del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV. Il diaconato permanente, Napoli, 1983.

 

[4] G. Ferraro, Le preghiere di ordinazione al diaconato, al presbiterato e all’episcopato, Napoli 1977,  p. 28

[5] Commento alle sentenze, art. 2, III, 4

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