Diác. Enzo Petrolino
Presidente de la Comunità del Diaconato in Italia
Referente Nacional del CIDAL en Italia
Reggio Emilia, Italia,
Un volume della Caritas e Migrantes nazionale presenta le migrazioni degli italiani in America Latina e i flussi che, più di recente, si sono determinati da quell'area verso l'Italia. Secondo i responsabili del Dossier Statistico Immigrazione Caritas e Migrantes1, «è necessario collegare il passato dell'Italia, come paese di emigrazione di massa, con l'immigrazione che sta trovando sbocco nel nostro paese. L'ampia accoglienza riservata in America Latina ai nostri emigrati, nonostante fossero inizialmente meno istruiti di quanto lo siano oggi gli immigrati latinoamericani e non mancassero i problemi, consentì di favorire un positivo processo di integrazione. Questa memoria del passato porta a chiedersi se noi oggi riserviamo un uguale trattamento ai cittadini stranieri che si insediano da noi».
Iniziata con un viaggio studio a Buenos Aires nel 2008 e arricchita dagli apporti di studiosi latinoamericani e italiani, la ricerca è imperniata, nella prima parte, sulla nostra storia di popolo di migranti con prevalente sbocco nei paesi latinoamericani (dove risiede circa il 30% dei circa 4 milioni di italiani all'estero), nella seconda parte, sulla situazione delle collettività latinoamericane in Italia (poco meno di un decimo dei 4 milioni di cittadini stranieri nel paese) e, nella terza parte, di natura socio-pastorale, sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti degli immigrati, questione quanto mai attuale.
I dati statistici, utili per evitare i pregiudizi, vengono completati da spunti storici, rilievi culturali, annotazioni giuridiche, approfondimenti economici, documenti ecclesiali ed esempi concreti di integrazione delle diverse collettività.
L’emigrazione degli italiani in America Latina
L'insediamento di migranti italiani nel subcontinente latinoamericano andò aumentando a partire dall'unificazione dell'Italia (1861), influenzando in maniera determinante il commercio fluviale e le attività collegate lungo le sponde del Rio della Plata, dove per primi si inserirono i liguri.
Verso la fine dell'Ottocento, grazie alla maggiore facilità dei trasferimenti transoceanici e all'incipiente globalizzazione, i flussi verso l'America Latina acquisirono una notevole consistenza per lo spostamento dei nostri agricoltori, protagonisti poco istruiti ma tenaci di quei primi viaggi. Intanto l'industria, che andava sviluppandosi all'inizio del secolo successivo, richiamava anche operatori qualificati, specialmente in Uruguay e in Argentina, paese quest'ultimo dai salari medi allora tra i più alti del mondo.
Dopo la seconda guerra mondiale quei paesi conobbero molte traversie, sia di natura economica che politica, e solo negli anni 80 si ritornò alla democrazia, prima in Argentina, poi in Uruguay e dopo ancora in Cile, dove nel commercio e nell'industria si resero protagonisti gli italiani provenienti dalla Liguria e dalla Lombardia, allora regioni di emigrazione.
L'Argentina fu la destinazione privilegiata e qui gli italiani coniarono il motto "primo anno agricoltore, secondo affittuario, terzo proprietario", anche se questa progressione non era così agevole. Successivamente furono protagonisti dello sviluppo delle aree urbane come operai, artigiani, commercianti e impresari industriali. Risale a questo lungo periodo la creazione di società di mutuo soccorso, scuole, ospedali, organizzazioni di servizio civile (ad esempio, i pompieri), camere di commercio, aggregazioni associative, centri socio-culturali e testate giornalistiche.
In Brasile l'arrivo degli italiani fu correlato all'abolizione della schiavitù, di cui furono il sostituto nelle fazendas, mentre in Cile prevalse l'inserimento nel commercio e nell'industria. Nel dopoguerra, fino alla metà degli anni 60, i flussi si diressero in prevalenza verso il Venezuela, paese in forte sviluppo a seguito dello sfruttamento del petrolio.
Quindi, a partire dagli anni 70, con una crescente intensità fino ai nostri giorni, i movimenti hanno cambiato direzione e ora sono i latinoamericani a stabilirsi in Italia.
Nei menzionati paesi che attrassero maggiormente i nostri migranti, costoro, nonostante le distanze, si spostarono numerosi (ben 3 milioni in Argentina e circa 1,5 milioni in Brasile) con l'idea di un soggiorno temporaneo che per molti risultò invece, alla fine, definitivo.
Ma i flussi, seppure in misura contenuta, conobbero molti altri sbocchi, come viene attestato dal panorama attuale dei connazionali all'estero. A marzo 2008 sono risultati residenti in America Latina 1 milione e 100 mila italiani, poco meno di un terzo di tutti quelli all'estero: Argentina 544.000, Brasile 235.000, Venezuela 97.000, Uruguay 73.000, Cile 40.000, Perù 26.000, Ecuador e Colombia 11.000, Messico 10.000, Paraguay 6.000, Repubblica Dominicana 5.000, Costarica 4.000, Guatemala 3.000, Bolivia 3.000.
In America Latina si trova il 16% delle imprese a partecipazione italiana localizzate al di fuori dell'Unione Europea e, in prospettiva, potranno essere potenziate grazie ad una maggiore sicurezza giuridica per il rispetto dei contratti.
I latinoamericani in Italia
I primi latinoamericani a venire in Italia, quando negli anni 70 la recessione mondiale limitò fortemente le speranze di sviluppo di quell'area, furono gli italiani migranti di ritorno, ai quali si aggiungevano gli oriundi loro discendenti, interessati a riacquistare la cittadinanza per poi trasferirsi in Spagna. Ad essi si aggiunsero i lavoratori del posto costretti a sfuggire alla miseria e sempre più impossibilitati a recarsi negli Stati Uniti. Un motivo di esodo furono anche le pesanti situazioni politiche in loco: i primi flussi dal Cile si generarono per motivi politici negli anni 70, dal Brasile in seguito al colpo di stato del 1964 e dall'Uruguay in conseguenza del regime militare.
Attualmente si verifica da quest'area anche una forte "fuga di cervelli", specialmente verso gli Stati Uniti e la Spagna, mentre il fenomeno riguarda l'Italia solo in misura minimale, non solo perché migliaia di laureati italiani lasciano essi stessi ogni anno il paese, ma anche perché mancano consistenti programmi di formazione/reclutamento all'estero come quelli previsti dal governo spagnolo, che sovvenziona le aziende con 20 milioni di euro l'anno per formare lavoratori nei paesi di origine, offrendo poi loro posti a tempo indeterminato in settori carenti di maestranze.
Come nel passato, l’innesto degli italiani in America Latina è stato proficuo,
così, in un'Italia fortemente bisognosa di manodopera aggiuntiva, i latinoamericani sono apprezzabili dal punto di vista non solo lavorativo ma anche socio-culturale.
Il loro inserimento occupazionale avviene in gran parte nelle famiglie per il servizio alle persone. Proprio perché questo inserimento non facilita i ricongiungimenti familiari, non è stato raggiunto l'equilibrio di genere con la venuta dei mariti e dei figli, con i pesanti problemi socio-affettivi che ne conseguono. Altri comparti di grande attrazione sono quello dei servizi alle imprese e quello degli alberghi e ristoranti. È minimale, l'inserimento in agricoltura ed è più consistente quello nell'industria.
I due poli di Milano e Roma
I poli più importanti per i latinoamericani sono la provincia di Milano (più di 60 mila presenze) e quella di Roma (circa 40 mila); molto importanti sono anche le province di Torino e di Genova.
Le donne latinoamericane, a Roma come in altre città, lavorano fino a 40 ore settimanali presso la stessa famiglia e impiegano solitamente due anni per ripagare il debito contratto per l'emigrazione, per poi richiedere finalmente il ricongiungimento familiare. Oltre che al lavoro dipendente, esse riescono spesso a dedicarsi a piccole attività commerciali (alimentari specializzati, ristoranti e tavole calde), alle quali possono in seguito decidere di dedicarci completamente. Non è raro il caso di donne che, con il tempo, riprendono i loro studi. Inizia ad avere una certa consistenza la percentuale delle ultrasessantenni, presenti in Italia dagli anni 70. È notevole anche il numero di figli, venuti in Italia a seguito dei ricongiungimenti o, nel caso dei più giovani, nati in Italia: i minori latinoamericani sono più di 6.000 in provincia di Roma e almeno tre volte di più in provincia di Milano.
Tra le annotazioni a carattere storico che si legano al passato migratorio italiano, la peruviana Filar Saravia, dell'associazione Nostri Diritti (No.DL), dice che «l'interesse verso l'Italia nasce, in primo luogo, come conseguenza del fenomeno migratorio proveniente dall'Italia. (…)Abbiamo, inoltre, una forte cultura religiosa cattolica che ci lega a Roma e che ce la indica come una città verso la quale, prima o poi, dovremmo andare, almeno in visita».
Sempre a Roma, opera un consistente numero di pittrici, scultrici e artiste latinoamericane, alle quali l'associazione No.Di. ogni anno dedica uno spazio nei suoi programmi.
A Milano, capitale dell'imprenditoria degli immigrati, le collettività latinoamericane hanno raggiunto una discreta affermazione e risultano titolari d'impresa. Gli imprenditori immigrati, superata la paura di fallire, creano benessere per se stessi e i propri familiari.
Prima di tutto l’accoglienza
II migrante è una persona tra due lingue, due culture e due paesi: "luogo" privilegiato in cui la comunità ecclesiale inquadra e approfondisce la sua missione.
L'accoglienza riservata in America Latina ai nostri emigrati invita a essere più attenti e coerenti nei confronti delle esigenze degli immigrati latinoamericani. Diverse decisioni pubbliche, e da ultimo il cosiddetto "pacchetto sicurezza", insieme a una serie di comportamenti sociali fanno pensare più alla diffidenza da parte nostra che alla volontà di integrazione.
Sul piano umano non si può dimenticare la cocente delusione provata da latinoamericani, formalmente stranieri ma di origine italiana, che si sono sentiti trattati da estranei nella terra dei loro genitori e dei loro avi, per cui un gran numero ha preferito ottenere la cittadinanza per poi trasferirsi in Spagna. Essi hanno sofferto del "complesso del riconoscimento mancato", sentendosi smarriti di fronte ad un atteggiamento negativo e alla mancanza di aiuto per risolvere i numerosi problemi che incontrano nel lavoro, nell'alloggio, nella società, nella conduzione della propria famiglia.
Nella visione ecclesiale, promozione umana ed evangelizzazione vanno di pari passo. La destinazione sociale dei beni della terra resta un punto fermo. Le migrazioni, nonostante il loro carico di ingiustizie, possono favorire una globalizzazione dal volto umano, influendo sugli scambi culturali e sulla riduzione delle disuguaglianze. L'attenzione dei pontefici alla pastorale migratoria, maturata inizialmente sulla base dell'esperienza migratoria degli italiani, dal secondo dopoguerra è andata assumendo una dimensione sempre più marcatamente mondiale, specialmente dopo la costituzione del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti (1988), mentre della pastorale degli italiani nel mondo si occupa la Conferenza Episcopale Italiana.
Le migrazioni provenienti da un continente a grande maggioranza cristiana portano a interrogarsi sull'accoglienza anche dal punto di vista spirituale, attraverso una maggiore attenzione ai fedeli latinoamericani nelle parrocchie e l'attivazione di strutture pastorali specifiche loro riservate, unendo gli interventi di prima accoglienza con l'attenzione alle esigenze linguistiche e culturali. Attualmente sono centinaia i luoghi di incontro e di preghiera degli immigrati latinoamericani, presso i quali i sacerdoti ed i diaconi che di loro si occupano svolgono un ruolo prezioso di sostegno della fede e di supporto alle attività sociali nella convinzione che bisogna promuovere congiuntamente il miglioramento delle condizioni economico-sociali e il benessere della persona.
Questa è stata anche l'esperienza degli emigrati italiani all'estero. Nel 1844 san Vincenzo Pallotti a Londra si preoccupava di trovare una chiesa per gli italiani, mentre ogni domenica si celebrano attualmente al di fuori dell'Italia mille messe in lingua italiana e Rai International diffonde in tutto il mondo la messa in italiano, insieme all'Angelus recitato dal papa. Sono circa 500 i centri di pastorale per gli italiani e altrettanto numerosi sono i sacerdoti che se ne occupano, coadiuvati dai diaconi, da 200 tra suore e altri operatori pastorali, una realtà pastorale per la metà ubicata nelle Americhe. Le missioni cattoliche italiane nel passato erano punto di riferimento per gli emigrati di prima generazione e ora stanno conoscendo un travaso graduale nelle parrocchie territoriali locali, secondo un cammino non facile e non breve.
Salvaguardare le particolarità dei migranti nel rispetto delle regole societarie generali: è a questo livello, tanto sociale che pastorale, che emigrazione e immigrazione si ricongiungono. Servono comunione e rispetto delle diversità. Non bisogna rinunciare a parlare di ordine pubblico e di sicurezza, sforzandosi però di capire che l'anima di tutto è l'integrazione. È necessario imparare la virtù dell'accoglienza, come amav
a sottolineare Giovanni Paolo II, senza considerare gli immigrati un prodotto "usa e getta" a seconda delle congiunture ma, al contrario, rispettando quegli obiettivi considerati ir-rinunciabili dalla dottrina sociale cristiana.
La presenza dei latinoamericani in Italia e il nostro passato di emigrati in quel continente ci ripropongono il fenomeno migratorio come un'opportunità e questo è anche l'obiettivo del volume di Caritas e Migrantes.
1 Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione, Ed. Idos, Roma 2009, pp. 415.