Il Diaconato Permanente alla luce del Magistero postconciliare

Diác. Enzo Petrolino

Presidente de la Comunità del Diaconato in Italia

Referente Nacional del CIDAL en Italia

Reggio Emilia, Italia, 17 de enero de 2011

epetrolino@libero.it

Premessa

 

Scopo del presente articolo è offrire una riflessione sui testi fondamentali del Magistero in relazione al diaconato, per meglio comprenderne la specificità ministeriale e le potenzialità di sviluppo nell’oggi della vita e della pastorale ecclesiale.

 

I vari riferimenti al Magistero dei Papi e della Santa Sede, quindi, appariranno qui secondo quel susseguirsi di richiami e di complementarietà che traccia idealmente il lungo e graduale percorso del ministero diaconale fino al nostro tempo, evidenziando le tappe più significative di uno sviluppo che, lungi dall’essersi completato, apre invece la strada a riflessioni, ricerche ed approfondimenti ulteriori.

 

La ricerca va collocata dentro il quadro complessivo dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, che ne ha voluto la reintroduzione o, come forse faremmo meglio a dire, il rinnovamento. In senso stretto  infatti, quello che il Concilio ha ripristinato è stato il principio dell’esercizio permanente del diaconato, e non una particolare forma che il diaconato aveva assunto in passato[1].

 

In altri termini, il Vaticano II sembrava di fatto aperto alla forma che questo ministero avrebbe potuto prendere in futuro in funzione dei bisogni pastorali e della prassi ecclesiale, pur sempre nella fedeltà alla tradizione. E poiché una delle predominanti caratteristiche conciliari è stata l’aver in qualche modo temperato l’approccio più cerebrale, intellettuale e scolastico alla fede cattolica proprio del secondo millennio operando un salutare ritorno alla sapienza dei Padri del primo millennio, e soprattutto dei primi secoli, ogni possibile riflessione sul diaconato ed ogni corretta comprensione del suo percorso diversificato e flessibile lungo i secoli non può farsi se non riconducendo la diaconia ministeriale ordinata nel solco vitale della mentalità che il Concilio ha inaugurato, o ancor meglio nel cuore stesso dell’ecclesiologia conciliare, quell’ecclesiologia di comunione che ha ispirato il Magistero degli anni successivi al Vaticano II e segnato il ritmo pulsante della vita della Chiesa fino al nostro tempo.

 

Il percorso che andiamo ad intraprendere, dunque, partirà dal dibattito conciliare e si soffermerà sulle indicazioni che, scaturite dal Concilio, hanno trovato poi nel Magistero postconciliare ulteriore sviluppo ed esplicitazione, per concludersi con uno sguardo allargato sul contesto ecumenico, nel quale il diaconato è già una presenza viva ed una multiforme “promessa” di dialogo, di speranza, di pace.

Il Concilio Vaticano II

 

A lunga distanza dalla decisione, assunta ma non attuata, del Concilio di Trento di ripristinare il diaconato, il Concilio Vaticano II segna quella svolta decisiva rispondente alla “maturità del tempo” che porta alla restaurazione del diaconato nella Chiesa latina come permanente grado della gerarchia[2]. È stato di rilevanza fondamentale in proposito il fatto che l’assemblea conciliare, nell’ottobre del 1963, abbia dato una risposta affermativa ad una delle cinque domande orientative al rinnovamento della vita ecclesiale che trattava esplicitamente di questo ministero.

 

Il Vaticano II, Concilio prevalentemente pastorale, con la sua ecclesiologia di comunione centrata sulla Lumen Gentium (LG), stabilisce dunque in maniera inequivocabile che il ministero diaco­nale rinasca nella Chiesa come ministero proprio e non più sola­mente come tappa per i candidati al sacerdozio. Il documento con­ciliare tratta del diaconato dove si parla della Costituzione gerarchica della Chiesa[3], stabilendo che tale ministero può essere conferito a uomini sia celibi che sposati.

 

La collocazione del diaconato all’interno della Gerarchia viene messa in rilievo attraverso l’accenno alla “imposizione del­le mani” e alla “grazia sacramentale”, che sottolinea, anche se in maniera ancora prudente, la sacramentalità del diaconato stesso. Questa in­dicazione emerge in ogni caso dall’insieme del dettato conciliare, che vede la collocazione del diacono al di dentro dell’Ordine, come vera parte, pure se in un “grado inferiore”, dei “ministri sacri”. L’espressione “inferiore” usata nella Lumen Gentium riflette una terminologia corrente consolidata dall’uso e dal diritto di allora; la ricer­ca successiva ha preferito espressioni che accentuano la specificità dei diversi ministeri anziché la superiorità o inferiorità di grado. Nella Costituzione vengono chiaramente usati i termini che esprimono i tre gradi tradizionali dell’Ordine gerar­chico: episcopato, presbiterato, diaconato[4], e viene affermata più volte l’articolazione tri­partita del Sacramento dell’Ordine. Il testo conciliare, parlando del servizio dei Vescovi, afferma che esso viene esercitato con l’aiuto dei sacerdoti e dei diaconi. Ed ancora sottolinea che il ministero ecclesiastico, di istituzione divina, è esercitato, già da antica data, attraver­so i diversi ordini: vescovi, presbiteri, diaconi. La successiva ed importante affermazione della Costituzione conciliare è che i diaconi ricevono l’imposizione delle mani non per il sacerdozio, ma per il servizio[5], in quanto, sostenuti dalla grazia sacramentale nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio in comunione col vescovo ed il suo presbiterio[6]; tale asserto conferma da una parte tutta la tradizione che esclude il diaconato dalle funzioni sacerdotali e pone dall’altra il ministero dei diaconi come intermediario tra quello dei vescovi e dei presbiteri con il resto del Popolo di Dio. Pertanto, la formula sostenuti dalla grazia sacramen­tale dice come il diacono sia abilitato alle sue funzioni gra­zie ad una virtù sacramentale. Il testo conciliare enumera poi le tre funzioni fondamentali, dandone anche delle applicazioni specifiche.

 

La Costituzione dogmatica sulla Chiesa contiene un altro riferimento al diaconato particolarmente inte­ressante a proposito della vocazione univer­sale alla santità[7]: si dice nel testo conciliare che l’impegno di una vita santa per i diaconi deriva soprattutto dalla loro specifica partecipazione alla missione e grazia del supremo Sacerdote. Il Concilio ha così individuato la “peculiarità” del diacono nel servizio ai misteri di Cristo e della Chiesa.

 

Anche in altri testi conciliari[8] troviamo riferimenti al diaco­nato. In particolare nel Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, Ad Gentes[9] (AG), che recepisce la sensibilità soprannatura­le espressa dal Concilio in riferimento alla “grazia sacramenta­le” inserendo il ministero permanente del diacono nella pluralità dei ministeri suscitati dallo Spirito di Dio nel suo Popolo, così confermando e rafforzando un servizio di fatto già esercitato. Nel contesto del capitolo che tratta della struttura della chiesa locale, il documento[10] elenca i vari ministeri veramente diaconali: da quello profetico della Parola, a quello pastorale e caritativo-sociale. Ma, per poter svolgere in maniera fruttuosa tale ministero, il Decreto sulle mis­sioni sottolinea l’importanza dell’impos
izione del­le mani, che mette il diacono in più stretto rapporto con l’altare. In questo rapporto “visibile” del diacono con il mistero liturgico si coglie in maniera chiara quale deve essere la dimensio­ne essenziale del diacono, che nel servizio alla liturgia ed in particolare nell’Eucaristia trova la linfa vitale per il suo mi­nistero e non semplicemente una delle tante attività legate ad esso. Inoltre, nel Decreto è sottolineato il legame diaconale tra opere di carità e altare, sebbene con un accento leggermente diverso, in quanto questo testo si apre con il riconoscere che ci sono laici che già svolgono la predicazione, l’amministrazione e il ministero caritativo del diacono. Questi uomini – si afferma – potrebbero essere aiutati e rafforzati dall’ordinazione diaconale. Siano conformati e stabilizzati per mezzo della imposizione delle mani tramandata dagli apostoli, e siano più saldamente congiunti all’altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato.[11]

Il Magistero postconcilaire

 

Con il Concilio si avvia per il diaconato una stagione nuova, caratterizzata da un vitale e faticoso cammino che si sviluppa su due fronti: da un lato, l’approfondimento normativo da parte della S. Sede e delle Confe­renze Episcopali; dall’altro, la presa di coscienza delle comunità che si aprono, anche se lentamente, ad accogliere questo ministero.

 

Rispetto ai testi conciliari, il documento pontificio di Paolo VI[12] Sacrum diaconatus ordinem riprende i compiti già in essi indicati apportando, però, qualche innovazione. Viene aggiunta, ad esempio, tra le funzioni del diacono la guida di comunità disperse[13], elemento non di poco conto, capace di introdurre nella riflessione sulla ministerialità una prospettiva nuova e di aprire alle comunità parrocchiali orizzonti ancora non del tutto esplorati. Si danno, inoltre, direttive circa la formazione dei can­didati “giovani” o “adulti”, mentre le restanti questioni sul ripristino del diaconato vengono delegate alle Conferenze Episcopali dei vari Paesi. Particolarmente interessanti, in questo documento, sono due annotazioni.

 

La prima riguarda il consenso della moglie. Al paragrafo 11 si specifica, infatti, che gli uomini sposati non possono essere ammessi al diaconato se prima non consti non soltanto del consenso della moglie, ma anche della sua cristiana probità e della presenza in lei di naturali qualità che non siano di impedimento né di disdoro per il ministero del marito. Anche il Codice di Diritto Canonico[14] (CDC) ricorda la necessità del consenso della sposa per l’ammissione del candidato uxorato. Ma questo consenso della moglie, che viene continuamente sottolineato in tutti i documenti relativi al diaconato, non è un mero consenso formale, al contrario, esso è un’adesione piena, generosa e consapevole che la moglie opera in accordo profondo e totale con il marito, perché l’esercizio del suo ministero possa tradursi ogni giorno in testimonianza efficace della chiamata ricevuta ed espressione autentica della diaconia di Cristo. In altre parole, la vocazione diaconale del marito non va solo e semplicemente accettata dalla moglie, ma è una scelta che gli sposi devono fare insieme, come orientamento e programma di vita. Con il suo “sì” detto con piena coscienza all’ordinazione del marito, anche per la moglie del diacono inizierà una nuova vita di donazione alla Chiesa, che non dovrà realizzarsi necessariamente in particolari impegni, ma potrà essere anche solamente attuata nell’assicurare al suo sposo quella serenità familiare e quegli spazi di preghiera che lo aiuteranno nel suo ministero.

 

La seconda annotazione è il costante riferimento al legame vescovo-diacono, che si coniuga efficacemente con il richiamo al diacono Lorenzo, proposto quale esempio insieme a Stefano.

 

Le vicissitudini personali di Lorenzo, che ci sono giunte attraverso un’antica tradizione già divulgata nel IV secolo, sono di grande stimolo ancora oggi per il ministero diaconale. È interessante riportare la testimonianza particolarmente eloquente di sant’Ambrogio nel De Officiis[15] ripresa, in seguito, da sant’Agostino. Ambrogio si dilunga, dapprima, sull’incontro e sul dialogo fra Lorenzo e il Papa, poi allude alla distribuzione dei beni della Chiesa ai poveri, infine menziona la graticola, strumento del supplizio attraverso il quale la testimonianza giunge alla sua pienezza definitiva (martyria). La testimonianza di sant’Ambrogio è interessante per la riflessione sull’identità diaconale[16], poiché in essa il diacono esprime nella martyria, ossia nell’accoglienza piena di quell’amore-carità che si fa sacrificio totale di sé, suprema testimonianza a Cristo, perseverando nel vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo e nel servizio di una carità integrale (quindi non solo solidarietà umana e sociale).[17] E l’elemento di maggiore suggestione ed interesse che emerge chiaramente dal colloquio tra Sisto e Lorenzo è proprio questo legame sacramentale che unisce il diacono al vescovo, un legame nel quale l’uno (il diacono) si caratterizza come l’“uomo della comunione” proprio attraverso il servizio specifico all’altro (il vescovo). Ed in questo servizio che risponde alle necessità e alle urgenze della Chiesa, tutto ha come riferimento l’altare, perché tutto nella Chiesa ha la sua “fonte” ed il suo “culmine” nell’ Eucaristia.[18]

 

La comunione e l’affetto tra il vescovo e il diacono esprimono una visione ecclesiale profondamente teologica che va oltre le concezioni che abbassano e riducono la Chiesa-Sposa alla mera dimensione politica e sociologica, equiparandola di fatto ad una tra le tante istituzioni umane: essa è invece animata dalla realtà viva e vivificante della grazia, che costituisce il legame profondo e indisgiungibile che la vincola a Cristo, unico e vero vescovo, presbitero e diacono.  L’associazione tra vescovo e diacono è d’altra parte già presente nel Nuovo testamento (Fil 1,1 e 1Tim 3,1-13), ed è un legame molto stretto attestato in seguito sia nella “Traditio Apostolica”, dove la grazia conferita al diacono col rito di ordinazione è definita di servizio del vescovo, sia nella “Didascalia degli Apostoli”, dove il diacono è presentato come il servitore del vescovo e dei poveri. Da ultimo, questo rapporto strutturalmente forte che lega il diacono al vescovo trova oggi espressione trasparente nella liturgia di ordinazione: a differenza di quanto avviene nell’ordinazione dei vescovi e dei presbiteri, infatti, il gesto dell’imposizione delle mani che viene compiuto sul diacono unicamente dal vescovo ordinante sta ad indicare, appunto, questo vincolo profondo e singolare che lega l’uno all’altro nel segno dell’unica diaconia di Cristo.

 

Concludiamo questa sintetica analisi del contributo che il Motu proprio ha dato al profilo del diaconato permanente evidenziando che in questo documento vengono indicati anche gli strumenti per alimentare la vita spirituale dei diaconi, dalla costante lettura e approfondimento della parola di Dio alla partecipazione quotidiana alla celebrazione eucaristica; dalla frequenza del sacramento della riconciliazione alla filiale devozione a Maria. Non manca, infine un esplicito ed accorato riferimento alla formazione permanente dei diaconi.

 

Nel periodo intercorrente fra il Conci­lio Ecumenico e il Motu Proprio, Papa Paolo VI pronuncia due allocuzioni sul diaconato[19]. In entrambi i discorsi c’è soprattutto l’esortazione a mettere in atto le disposizioni concili
ari, per approfondire ulteriormente la missione del diacono, sia celibe che sposato, ed insieme offrire ai candidati un’adeguata formazione. Allo stesso tempo, al Papa preme che la restaurazione del diaconato nella Chiesa latina avvenga nella carità, in modo tale che la presenza del diacono arricchisca non solo l’ordine ministeriale, ma anche la comunità tutta. È altamente significativo il modo in cui Paolo VI vede nella Chiesa la presenza del diacono – unito con docilità ed affetto al proprio Vescovo – e sottolinea lo spirito di servizio che deve caratterizzare il diacono stesso, il quale appunto dal servizio è definito e nel servizio trova la sua assimilazione a Cristo che – come dice Matteo (20,28) –  «non è venuto per essere servito ma per servire»[20]. Un impegno davvero di grande forza, perché attraverso il diacono viene espresso il segno di quello che la Chiesa deve fare: mettersi a servizio del mondo.

 

Il profilo del ministero diaconale viene ancor meglio delineato nel documento Ad Pascendum[21] (AP), nel quale Paolo VI ribadisce ancora una volta che il diacono è animatore del servizio – ossia della diaconia della Chiesa – presso le comunità locali, segno e strumento dello stesso Cristo Signore[22]. Particolarmente significativa è anche qui la sottolineatura del rapporto diacono–vescovo e l’esercizio della carità che al diacono il vescovo affida. Vengono, infine, introdotte alcune novità dal punto di vista disciplinare: il rito di ammissione tra i candidati che segna l’inizio della preparazione diretta all’ordinazione; la pubblica assunzione dell’impegno del “sacro celibato” davanti a Dio e alla Chiesa, da farsi prima dell’ordinazione, da parte dei candidati non coniugati.

 

Sulla responsabilità dei pastori ad evangelizzare, Paolo VI dà un ampio riferimento nell’esortazione apostolica post-sinodale “L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”. I diaconi uniti con i propri vescovi, di cui sono collaboratori, mediante una comunione che ha la sua sorgente nel sacramento dell’ordine sacro e nella carità della chiesa[23] sono chiamati ad un’opera di evangelizzazione: proclamare con autorità la parola di Dio, radunare il popolo di Dio che era disperso, nutrire questo popolo con i segni dell’azione di Cristo, che sono i sacramenti, per condurlo sulla via della salvezza, per conservarlo in quella unità di cui noi stessi siamo, a differenti livelli, strumenti attivi e vitali, animare incessantemente questa comunità raccolta attorno al Cristo secondo la sua più intima vocazione.

 

Il pontificato di Giovanni Paolo II non ha espresso un documento che esplicitasse in modo unico e complessivo una riflessione sistematica sul diaconato, ma il vivo interesse e la premura pastorale di questo Papa per il ministero diaconale risaltano ampiamente in alcuni discorsi che egli ha pronunciato in occasione di incontri con i diaconi ed in diverse esortazioni e lettere apostoliche[24]. Particolarmente significativi sono i discorsi indirizzati ai diaconi italiani[25] ed a quelli  statunitensi[26].

 

In un passaggio del discorso tenuto ai diaconi italiani il Pontefice dà, con sintetica chiarezza, le coordinate teologiche su l’identità del diacono: Il Diacono nel suo grado personifica Cristo Servo del Padre,  partecipando alla triplice funzione del Sacramento dell’Ordine: è maestro, in quanto proclama e illustra la Parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del Battesimo, dell’Eucaristia e i Sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o settori della vita ecclesiale. In tal senso, il diacono contribuisce a far crescere la Chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione.

 

Tra i tanti aspetti evidenziati dal Papa, di particolare efficacia è l’affermazione che il servizio del diacono è il servizio della Chiesa sacramentalizzato. Proprio per questo non si tratta di uno dei tanti ministeri ma, come già diceva Paolo VI, questo ministero deve realmente essere “forza motrice” per la diaconia della Chiesa. Considerando la profonda natura spirituale di questa diaconia, è possibile capire meglio l’interrelazione fra le tre aree ministeriali del diacono come ministro della parola, della liturgia e della carità. Giovanni Paolo II parla anche di una “speciale testimonianza” che i diaconi sono chiamati a dare nella società, proprio perché la loro occupazione secolare consente l’accesso alla sfera temporale in un modo proprio che normalmente non è concesso agli altri membri del clero. Allo stesso modo, notevole è il contributo che il diacono sposato offre alla trasformazione della vita familiare per la grazia della duplice sacramentalità che segna il suo ministero. Ed è particolarmente significativo l’aver sottolineato come il coinvolgimento della moglie di un diacono nel ministero pubblico del proprio marito nella Chiesa si realizza attraverso l’arricchimento e l’approfondimento dell’amore sacrificale tra marito e moglie.

 

Il riferimento poi al rito di ordinazione impegna il diacono in una formazione spirituale che dovrà durare tutta la vita, in modo tale che ci siano una crescita ed una perseveranza nel servizio che edifichino realmente il popolo di Dio.

 

Il Papa ha inoltre trattato del diaconato in maniera sistematica durante alcune catechesi del Mercoledì[27], affrontando i temi de Il diaconato nella comunione ministeriale e gerarchica della Chiesa, Funzioni del diacono nel ministero pastorale e Lineamenti della spiritualità diaconale.

 

Giovanni Paolo II che ha cuore la nuova evangelizzazione affida questa “opera” anche all’apporto prezioso dei diaconi, che deve essere  fatto di coerenza e dedizione, di coraggio e generosità, nel quotidiano servizio della liturgia, della parola e della carità[28].

 

In occasione dell’Assemblea plenaria della Congregazione per il Clero[29], che ha preso in esame l’Instrumentum laboris con l’intenzione di preparare un Documento concernente la vita ed il ministero dei diaconi permanenti simile a quello per i presbiteri, Giovanni Paolo II ha tenuto un discorso[30] che costituisce un contributo importante per una corretta configurazione del ministero diaconale. Partendo dalla dottrina conciliare, la quale ha poi trovato la sua espressione giuridica nel Codice di Diritto Canonico[31], il Papa auspica un’attenta indagine teologica e un prudente senso pastorale alla luce dell’esperienza acquisita, avendo all’orizzonte la nuova evangelizzazione alle soglie del terzo millennio, e riassume tutto ciò che si può riferire alla vita e al ministero dei diaconi in un sola parola: fedeltà. Ciò significa fedeltà alla tradizione cattolica che ci viene testimoniata dalla lex orandi; fedeltà al Magistero; fedeltà all’impegno di rievangelizzazione. Tutto questo richiede l’impegnativa promozione, in ogni ambito ecclesiale, di un sincero rispetto dell’identità teologica liturgica canonica propria del sacramento conferito ai diaconi. Partendo da questa affermazione, il Papa offre alcuni spunti di riflessione tenendo presente anche la situazione dei diaconi nella Chiesa universale.

 

In modo primario, con il sacramento dell’Ordine, attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo e la specifica preghiera di consacrazione, il diacono riceve una peculiare “configurazione a Cristo servo, Capo e Pastore della Chiesa”. Il diacono, così,  non è più laico né può  essere più “ridotto” allo stato laica
le in senso stretto. Proprio per questo viene ordinato, per l’esercizio di un ministero proprio, che richiede una disposizione spirituale di piena dedizione. Ciò sta a significare che non ci sono diaconi a “tempo parziale”, in quanto essi sono a tutti gli effetti “ministri della Chiesa”. Il diaconato non è una professione, ma una missione! È in questa luce e in questa prospettiva che vanno esaminati i non pochi problemi, ancora aperti, legati alla necessità di rendere lo svolgimento del servizio ecclesiale compatibile con altri obblighi (familiari, professionali, sociali, etc.). Per realizzare in modo autentico e pieno la sua missione, infatti, il diacono deve necessariamente avere una profonda vita interiore da alimentare con un’intensa vita di preghiera che lo unisca a Cristo e gli consenta di fare sintesi tra l’esercizio delle sue attività ministeriali e le altre responsabilità professionali, familiari e sociali.

 

Giovanni Paolo II diceva che, al tempo della sua restaurazione, alcuni vedevano il diaconato permanente come un ponte fra pastori e fedeli. Si tratta di una terminologia suggestiva e frequentemente utilizzata. Il termine ponte, però, pone anche qualche problema importante di identità[32], poiché l’immagine suggerisce un divario che necessita di essere colmato e che non viene colmato finché non c’è un diacono, il che distorce in buona misura il senso stesso del ministero diaconale. L’idea del diaconato come medius ordo (“ponte”, appunto) potrebbe finire col sancire ed approfondire, attraverso quella funzione, il divario che avrebbe dovuto colmare[33], mentre la visione del Vaticano II, particolarmente come è posta in Gaudium et Spes (GS), è sicuramente più fedele alla verità delle cose e più nel segno della comunionalità, in quanto parla di una “non soluzione di continuità” o solidarietà tra Chiesa e mondo, e del diacono come di un segno splendido e speciale di questa continuità ininterrotta.

 

Pur riconoscendo che una della principali ragioni che hanno portato il Concilio a restaurare il diaconato è stata provvedere alla carenza di presbiteri ed assisterli in molte responsabilità non direttamente connesse al loro ministero pastorale, il Papa osservava che, tuttavia, quelle ragioni immediate e piuttosto pragmatiche nella restaurazione del diaconato permanente non dovrebbero restringere la nostra visione di questo ministero nel nostro tempo. Egli scriveva: Lo Spirito Santo, che ha un ruolo primario di guida nella vita della Chiesa, ha misteriosamente operato dentro queste ragioni connesse alle circostanze storiche e alle prospettive pastorali al fine di restaurare nella Chiesa l’immagine completa del ministero ordinato, che è tradizionalmente formato da vescovi, presbiteri e diaconi. Così si è portata avanti una rivitalizzazione delle comunità cristiane che le rende più simili a quelle fondate dagli apostoli che fiorirono nei primi secoli, come testimoniano gli Atti degli Apostoli[34].

 

Queste parole suggeriscono ampiamente che il triplice ministero di vescovi, presbiteri e diaconi era una sorta di “motore” acceso nel cuore delle comunità cristiane nella Chiesa primitiva. Fare a meno del terzo elemento di quel gruppo per molti secoli ha come tolto potenza al motore della Chiesa, e il Papa attendeva con ansia ciò che sarebbe accaduto quando fosse stato ripristinato il regime di potenza completa di quel motore. È importante rilevare, inoltre, che i secoli di reale assenza del diaconato sono anche stati i secoli in cui i laici sono stati sempre più passivi nella liturgia e poco considerati in termini di formale apostolato. Non è senza fondamento osservare, dunque, contrariamente a quanto talvolta si è sentito dire, che il fiorire autentico del diaconato aiuta e promuove anche la crescita del laicato.

 

Nel percorso di chiarificazione dell’identità diaconale dentro il contesto più ampio di tutta la ministerialità ecclesiale una tappa importante è stata caratterizzata dalla pubblicazione della Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium e del Directorium pro ministerio et vita
diaconorum permanentium
[35], due documenti che, pur conservando la propria identità e lo specifico valore giuridico, sono stati pubblicati unitariamente proprio perché si richiamano e si integrano a vicenda in forza della loro logica continuità.

 

Tali documenti rispondono all’urgenza, da più parti avvertita, di fare chiarezza e di regolamentare la diversità di esperienze in atto sia a livello di discernimento e di preparazione  che a livello di attuazione ministeriale e di formazione permanente. L’esigenza è stata motivata anche dal fatto che, a seguito della reintroduzione del diaconato, in molte regioni ecclesiastiche si è verificata come una esplosione di vocazioni diaconali[36], segno dell’entusiasmo e delle speranze da esso suscitate. I testi vaticani esprimono ampiamente il valore di “segno” che il diaconato assume, facendo riferimento al diacono come icona vivente di Cristo Servo[37] dentro la Chiesa. Nell’ordinazione di un diacono, il vescovo prega Dio Padre perché il neo-ordinato possa essere immagine del tuo Figlio che non è venuto per essere servito, ma per servire. Particolarmente dal Vaticano II in poi, noi abbiamo compreso che la Chiesa intera è chiamata alla “spiritualità del servizio”, perché essa esiste nel mondo per servire la salvezza del mondo stesso, ed è proprio questa prospettiva del diaconato quale segno vivente per tutti della chiamata a servire che viene illuminata dai due documenti, quando essi affermano: Affinché l’intera Chiesa possa meglio esprimere questa spiritualità del servizio, il Signore le dà un segno vivo e personale del suo essere Servo. È di fondamentale importanza tener sempre presente questo contesto ecclesiale del diaconato.

 

I due documenti asseriscono che il diacono partecipa al ministero di Cristo Servo, il quale ha dato la sua vita in riscatto per molti (Mt 20,28), ed aggiungono che il diacono deve essere una forza motrice per il servizio.

 

Non è senza significato ripetere, dunque, che il diacono non ha il monopolio del servizio: questa è la chiamata di ogni discepolo di Cristo! Ma proprio perché è la chiamata di tutti, è molto utile per tutti avere accanto coloro che sono specificatamente impegnati in una profonda configurazione di sé a Cristo Servo, persone che possono porsi come esempi e segni di richiamo per tutti di ciò che veramente dobbiamo essere. E visto che la Chiesa esiste per amare il mondo e porsi al servizio della sua salvezza, dobbiamo protendere lo sguardo ai bisogni degli uomini, ricordando sempre che l’oggetto della diaconia di Cristo è l’umanità. I documenti vaticani inseriscono, quindi, saldamente il diacono nello spirito della Gaudium et Spes, asserendo che egli dovrebbe comunicare con le culture contemporanee e con le aspirazioni ed i problemi del suo tempo … In tale contesto, infatti, egli è chiamato ad essere segno vivente di Cristo Servo e ad assumere la responsabilità della Chiesa             di ‘ leggere i segni dei tempi ed interpretarli alla luce del Vangelo ’ [38]. Tramite il suo impegno nella famiglia, nel lavoro, nella scuola, etc., per richiamare il profilo che Giovanni Paolo II fa del diacono, egli vive di fatto una particolare relazione con le aspirazioni ed i problemi del proprio tempo. Vede i segni dei tempi da vicino ogni giorno ma, come ministro ordinato del Vangelo, è particolarmente chiamato a leggere
questi segni e ad interpretarli alla luce del Vangelo stesso, in modo da guidare opportunamente fratelli e sorelle cristiani, i quali sono – in forza del Battesimo – portatori della stessa responsabilità. Propriamente compreso e vissuto, il diaconato dovrebbe farsi, allora, lievito per l’apostolato dei laici.

 

II testo del documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI), Il diaconato: evoluzione e prospettive[39] non solo fa un esauriente excursus del passato, ma espone anche le posizioni ma­turate nel postconcilio, invitando ad ulteriori ricerche. In tal senso è significativo, ai fini del nostro lavoro, il sommario che apre il cap. VII, il quale invita a esaminare come i testi conciliari relativi al diacona­to siano stati recepiti e poi approfonditi nei documenti del Magistero, [a] tenere conto del fatto che il ripristino del diaconato si è realizzato in modo disuguale nel periodo post-conciliare e, so­prattutto, [a] prestare una particolare attenzione alle oscillazioni di tipo dottrinale che hanno accompagnato come un’ombra tena­ce le varie posizioni pastorali. Il documento, dopo aver ricorda­to che diversi e numerosi sono gli aspetti che richiedono oggi uno sforzo di chiarificazione teologica, in quest’ultimo capitolo intende contribuire allo sforzo di chiarificazione, identificando dapprima le radici e le ragioni che fanno dell’identità teologica ed ecclesiale del diaconato (permanente e transitorio) un’autentica quaestio disputata su determinati aspetti»; e precisando poi «una teologia del ministero diaconale che possa costituire la base comune e sicura capace di ispirarne il rinnovamento fecondo nelle comunità cristiane. Tale rinnovamento deve esse­re attuato nella continuità della Tradizione. Uno stimolo su questa strada viene dal cap. II del documento, che ri­costruisce il senso di una eredità.

 

Dopo aver esaminato il motuproprio Ad pascendum di Paolo VI, il documento affronta il tema della sacramentalità del diaconato permanente in relazione a quanto espresso nei testi conciliari, ed afferma: considerare il diaconato come una realtà sacramenta­le costituisce la dottrina più sicura e più coerente con la prassi ecclesiale. Se se ne negasse la sacramentalità, il diaconato costituirebbe una forma di ministero fondato sul battesimo; rivestirebbe un carattere funzionale, e la Chiesa godrebbe di una grande capacità di decisione relativamente alla sua instaurazione o alla sua soppressione, come pure alla sua configurazione concreta[40].

 

Il documento scruta dal di dentro la complessità di una realtà ecclesiale che sembra non aver ancora del tutto recepito, per certi aspetti, lo spirito del Concilio, ma proprio da qui riparte verso quel necessario e mai finito percorso attraverso il quale la comunità dei credenti matura il senso dell’appartenenza a Cristo e, da tale consapevolezza, la propria dimensione comunionale[41].

 

Prezioso è anche il riferimento di tutto il sacramen­to dell’Ordine e, in particolare, nel modo suo proprio, del diacona­to al bene di tutta la Chiesa, col tentati­vo di identificare un proprium non parcellizzato in singole direzioni (liturgia, carità, pastorale), ma armonizzato da uno sguardo uni­tario ai vari ambiti di organica attuazione dell’azione eccle­siale, che si avvale dei diversi elementi strutturanti l’azione della fraternità cristiana. È proprio in questa cornice unitaria che va compresa la sacramentalità del diaconato. Le tre espressioni fondamentali di attuazione del ministero ecclesiale – episcopato, presbiterato e diaconato – non sono né riducibili né sostituibili tra loro, ma agiscono in unità organica per mettere in grado la fraternità ecclesiale di edificarsi in corpo di Cristo e di compiere la missione da Lui ricevuta. E dopo aver illustrato le caratterizzazioni proprie dell’episcopato e del presbiterato, il documento si sofferma sul ministero del diacono, affermando che, a partire dall’Eucaristia presieduta dal vescovo o dal presbitero, egli esercita la responsabilità di mettere in opera o di curare l’attuazione (sia di­retta sia attraverso la valorizzazione operativa dei carismi e mini­steri di altri) dell’azione ecclesiale nei suoi vari ambiti (prima evangelizzazione, educazione del cristiano, edificazione della fraternità ecclesiale, presenza efficace nella società), come collabora­tore ordinato dell’ordine episcopale e dell’ordine presbiterale.

 

Nel documento si parla spesso del diaconato permanente co­me della forma da recuperare e riesprimere oggi nella Chiesa, poiché come è detto nella Conclusione, al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Va­ticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell’esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana.

 

E siamo ai nostri giorni. Di papa Benedetto XVI abbiamo alcuni interventi indubbiamente significativi[42], ed è illuminante che nella sua enciclica Deus caritas est[43] egli abbia sottolineato con forza che la Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola. […] Praticare l’amore verso le vedove e gli orfani, verso i carcerati, i malati e i bisognosi di ogni genere appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e l’annuncio del Vangelo[44]. Con la scelta dei “sette” ed il loro servizio assolutamente concreto e al tempo stesso spirituale, afferma il Papa, la diaconia era ormai instaurata nella struttura fondamentale della Chiesa stessa[45]. E nel suo discorso ai diaconi di Roma[46], papa Benedetto ha indicato le nuove forme di povertà che segnano il vissuto del nostro tempo: sono molte le persone che hanno smarrito il senso della vita, o devono affrontare una povertà spirituale e culturale. Anche nel servizio liturgico, il diacono dovrebbe rivolgersi a tali povertà per portare tutti i poveri all’altare di Cristo, ma non dovremmo spiritualizzare il significato della povertà tanto da dimenticare la chiamata del diacono a servire materialmente i poveri con un amore operante. Il Papa evidenzia che non basta proclamare la fede solo a parole, ma piuttosto è necessario accompagnare la proclamazione del Vangelo con una testimonianza concreta della carità. Solo una forte riaffermazione del primato del ministero diaconale della carità assicurerà l’accoglienza ed un lungo futuro al diaconato ripristinato. Altrimenti, potrebbe subire la stessa sorte del diaconato nella Chiesa delle origini, schiacciato tra il timore di essere una minaccia per l’identità dei presbiteri e le preoccupazioni laicali rispetto a nuove forme di clericalismo. E questo deve avere un più serio riscontro nella ricerca di adeguate modalità di promozione e discernimento del diaconato e di validi percorsi di formazione dei futuri diaconi.

 

Papa Benedetto spera, dunque, che in ogni tempo, in ogni diocesi, pur con situazioni diverse, questa (la carità) rimarrà una dimensione fondamentale e anche prioritaria per l’impegno dei diaconi, sia pure non l’unica, come ci mostra anche la Chiesa primitiva, dove i sette diaconi erano stati eletti proprio per consentire agli apostoli i dedicarsi alla preghiera, alla liturgia, alla predicazione. Anche se poi Stefano si trova nella situazione di dover predicare agli ellenisti, agli ebrei di lingua greca, e così si allarga il campo della predicazione. Egli è condizionato, diciamo, dalle situazioni culturali, dove lui ha voce per rendere presente in questo settore la Parola di Dio, e così anche rendere maggiormente possibile l’universalità
della testimonianza cristiana, aprendo le porte a san Paolo, che fu testimone della sua lapidazione e poi, in un certo senso, suo successore nella universalizzazione della Parola di Dio
[47].

 

Il Vaticano II ha affermato che il vescovo ha in sé la pienezza del sacramento dell’ordine ed è il primo celebrante dell’Eucaristia in mezzo al suo popolo[48]. L’insegnamento conciliare sul diaconato permanente deve essere quindi visto dentro il complessivo strutturarsi della Chiesa attorno all’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana[49], e della celebrazione dell’Eucaristia attorno al vescovo. In questa connotazione ministeriale della Chiesa tutta, il diacono è fondamentalmente legato sia all’Eucaristia che al vescovo. La liturgia, infatti, è il culmine cui tende tutta l’attività della chiesa ed anche la fonte da cui promana tutta la sua virtù[50]. Papa Benedetto XVI (allora cardinale Ratzinger) ha sintetizzato in modo limpido la dottrina del Concilio in questo ambito, affermando che il culto della chiesa sta nella sua stessa edificazione, dal momento che la sua natura altro non è se non il servizio di Dio e quindi degli uomini e della donne, ossia il servizio di trasformazione del mondo[51]. Ne segue che quello che i diaconi fanno nella liturgia ed il modo in cui essi si relazionano in essa agli altri ministeri ecclesiali sarà significativo della loro attività e del loro relazionarsi in modo più ampio nel mondo.

 

La celebrazione dell’Eucaristia è un paradigma dell’interrelazione dei vari ministeri nella Chiesa. È, tra l’altro, una sorta di ‘ prova generale’ per la vita[52].

 

Se dalla diaconia eucaristica deriva, per naturale dilatazione sacramentale, il servizio alle mense reso ai fratelli prima e a tutti i poveri dopo; allo stesso modo, anche dalla diaconia verbi[53] viene un ministero della parola vero e proprio che ha nell’opera di evangelizzazione degli ultimi e dei marginali la sua sorgente biblica e la sua precisa identità ecclesiale, sicché è parte integrante della diaconia ordinata che al diacono venga riconosciuta l’attitudine concreta ad essere animatore del servizio della Parola, e non solo della Liturgia e della carità, nella comunità cristiana in cui è inserito.

Il diaconato nel contesto ecumenico

 

Nel Magistero postconciliare ha sicuramente un posto di rilievo il contesto ecumenico del ministero diaconale. La missio­ne del diacono è nella Chiesa anche speranza ecumenica, perché questo ministero schiude in maniera profetica una visione nuova  della realtà ecclesiale concreta.

 

Un servizio per l’ecumenismo, quello del diacono, forse meno tangibile e gratificante di altri uffici, ma certamente non meno coinvolgente della diaconia sacramentale correttamente intesa e vissuta nella triplice dimensione della Parola, dell’Altare e del Povero. Un servizio rivolto alla causa dell’unità dei Cristiani, una causa che interessa il mondo intero, desideroso di unità, pace, giustizia e salvezza.

 

Questo ministero è infatti chiamato a proporre, attraverso l’esempio e con l’approfondimento teologico, l’assoluta priorità del servizio in ogni ministero.

 

È proprio per questo che a servizio del popolo di Dio, per la sua comune vita di fede e sacramentale, sono posti i ministri ordinati: vescovi, presbiteri e diaconi. In tal modo, unito dal triplice legame della fede, della vita sacramentale e del ministero gerarchico, tutto il popolo di Dio realizza ciò che la tradizione di fede dal Nuovo Testamento in poi ha sempre chiamato la koinonia/comunione. È, questo, il concetto chiave che ha ispirato l’ecclesiologia del concilio Vaticano II [54].

 

Inoltre, nella recente riflessione ecumenica sul diaconato… il ministero dei diaconi è stato visto come quello di un intermediario, un ponte, un inviato il cui speciale ministero è portare il messaggio, il significato e i valori della liturgia, come un’espressione chiave del vangelo, nel cuore del mondo e, per lo stesso segno, portare i bisogni e le cure del mondo nel cuore del culto e della dimensione comunitaria della Chiesa. I diaconi sono stati visti come coloro che, radicati nell’insegnamento e nel culto del Corpo di Cristo, portano la buona notizia, come parola e sacramento e attraverso il servizio di carità, a quelli che Cristo è venuto a cercare e salvare[55].

Questa splendida descrizione del diaconato, mentre testimonia da una parte la crescita del consenso che il diaconato ha incontrato nel tempo a livello ecumenico, ci aiuta dall’altra a comprendere che i diaconi sono, in realtà, segni per la Chiesa di tutto quello che la Chiesa dovrebbe fare. Sarebbe fuorviante, infatti, descrivere e valutare il diaconato solo in termini funzionali. Per questo l’ecumenismo è oggi un importante ambito per il rinnovamen­to del diaconato. La Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese ha espresso questo punto in modo molto chiaro: i diaconi rappresentano alla Chiesa la sua chiamata ad essere serva nel mondo[56]; per contro, più viviamo come Chiesa che serve, più dovremmo comprendere il diaconato e discernere le vocazioni diaconali.

 

Poiché essi hanno un ministero sacro pubblicamente espresso nella liturgia, e quasi sempre anche una professione secolare ed una vita coniugale e familiare, i diaconi richiamano a tutti che la Chiesa e il mondo si appartengono reciprocamente. Anche questo punto è stato bene espresso dalla Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese: Lottando in nome di Cristo per i numerosissimi bisogni della società e della gente, i diaconi esemplificano l’interdipendenza del culto e del servizio nella vita ecclesiale[57].

 

Anche se nei testi ufficiali sull’ecumenismo non si trovano molte indicazioni sul ruolo che questo ministero rinnovato può giocare nel dialogo interconfessionale, mi sembra interessante citare questo passaggio circa la formazione dei futuri ministri ordinati: tra i principali doveri di ogni futuro ministro ordinato c’è quello di formarsi una personalità che, per quanto possibile, sia all’altezza della sua missione di aiutare gli altri ad incontrare Cristo. In questa prospettiva, il candidato al ministero deve coltivare pienamente le qualità umane che rendono una persona accetta agli altri e credibile, vigilante sul proprio linguaggio e sulle proprie capacità di dialogo, per acquisire una attitudine autenticamente ecumenica[58]. Ciò è essenziale non solo per i vescovi e per i presbiteri, ma anche per i diaconi, chiamati a servire la comunità dei fedeli. La formazione dottrinale e pratica non si dovrà limitare al periodo di formazione, ma il suo ruolo è tale da esigere dai ministri ordinati e dagli operatori pastorali un continuo aggiornamento, dato che il movimento ecumenico è in evoluzione. Pertanto i diaconi, come gli altri ministri, devono essere sistematicamente informati sulle tappe raggiunte e sullo stato attuale del movimento stesso, così da poter inserire la dimensione ecumenica nella predicazione, nella catechesi, nella preghiera e nella vita cristiana in generale[59].

 

Finora, è stato prodotto un solo pronunciamento di accordo ecumenico sul tema del diaconato, ossia il cosiddetto Rapporto di Hannover della Commissione Internazionale Anglicano-Luterana, intitolato Il Diaconato come Opportunità Ecumenica[60]. Questo apprezzabile testo rafforza quanto appena detto, e cioè che l’integrazi
one del culto e del servizio rimane un impegno per i vari ministeri diaconali della Chiesa
[61]. […]  Il ministero diaconale propriamente cerca non solo di mediare il servizio della Chiesa a bisogni specifici, ma anche di farsi interprete di quei bisogni presso la Chiesa. Il ruolo “intermediario” del ministero diaconale, dunque, opera in entrambe le direzioni: dalla Chiesa ai bisogni, alle speranze e alle preoccupazioni delle persone dentro e fuori di essa; e da questi bisogni, speranze e preoccupazioni alla Chiesa[62].

E questo richiede una “nuova incarnazione” della diaconia  dentro i luoghi più travagliati di questo tempo, un ascolto attento del “grido dei poveri” nelle situazioni più diverse dell’esistenza, situazioni spesso non immediatamente assimilabili alla comune esperienza perché scaturenti da conflitti irrisolti, da  pregiudizi etnici, da condizioni politiche e socio-economiche che hanno aperto nel tempo il varco a nuove esperienze di povertà, nuove domande di senso, nuove sfide alla capacità di dialogo e di cambiamento. Il confronto di idee e di esperienze a livello ecumenico è il terreno irrinunciabile sul quale le diverse forme di diaconia ministeriale possono incontrarsi, comprendersi ed arricchirsi reciprocamente, per annunciare a tutti gli uomini il Vangelo della speranza e della pace: un annuncio capace di farsi dovunque e per chiunque “servizio” concreto e liberante.

 

La reintroduzione del diaconato permanente dovrebbe sicuramente essere vista alla luce del Magistero postconciliare, come parte integrante del lavoro fatto dal Concilio per preparare l’intera Chiesa ad un rinnovato apostolato nel mondo di oggi. I diaconi possono, dunque, a ragione essere definiti i pionieri della  nuova civiltà dell’amore[63].



[1] Commissione Teologica Internazionale, Il Diaconato: evoluzione e prospettive, LEV, Città del Vaticano 2003,  88-89

[2] Lumen Gentium, in Enchiridion Vaticanum, I Documenti Ufficiali del Concilio Vaticano II (1962-65), Dehoniane, Bologna 1979,  n. 29.

[3] LG, cit., III.

[4] LG, cit., n. 28.

[5] L’espressione è tratta dalla Tradizione apostolica redatta da Ippolito nel 235 d.C. Nelle premesse del rito di ordinazione egli dice che il diacono riceve «l’imposizione delle mani del solo vescovo, perché il diacono viene ordinato non al sacerdozio a al servizio del vescovo». Il documento conciliare esclude quindi che il diacono sia a servizio del vescovo come dice la Tradizione apostolica, a meno che non si voglia interpretare il testo di Ippolito secondo quanto suggerisce J. Colon, La fonction diaconale aux origines de l’église, Desclée 1960, 99. Egli dice che «il diacono non è ordinato alla funzione sacerdotale del vescovo ma alla sua funzione diaconale … Egli di fatto non partecipa al consiglio dei presbiteri ma amministra e segnala al vescovo ciò che è necessario, né riceve lo Spirito comune di cui tutti i presbiteri partecipano ma quello che gli è conferito per potere del vescovo. Per questo solo il vescovo ordini il diacono ». Secondo l’autore, dunque, il diacono non viene ordinato al servizio del vescovo ma per realizzare una delle dimensioni ministeriali del vescovo che è quella del servire la Chiesa. In ogni caso «la proposizione secondo la quale si impongono le mani ai diaco­ni “non ad sacerdotium, sed ad ministerium” diventerà un riferimento chiave per la comprensione teologica del diaconato. Tutta­via molti interrogativi sono rimasti aperti sino ai nostri giorni per le ragioni seguenti: la soppressione del riferimento al vescovo nel­la formulazione accettata, l’insoddisfazione di alcuni di fronte al­la sua ambiguità, l’interpretazione data dalla Commissione, e la portata della distinzione stessa tra sacerdotium e ministerium. La Commissione dottrinale del Concilio si espresse in questi termini: significanti diaconos non ad corpus et sanguinem Domini offerendum sed ad servitium caritatis in ecclesia.

[6] LG, cit., n. 29.

[7] LG, cit., V, n. 41

[8] Troviamo accenni al diaconato anche in altri testi conciliari (Christus Dominus, n. 15, Dei Verbum, n. 25, Sacrosanctum Concilium, n. 35 e 68). Il diacono ancora una volta viene posto in comunione con il Vescovo ed il suo presbiterio e col suo ministero si fa strumento di comunione concreta della Gerarchia col restante Popolo di Dio. Il Concilio ha richiamato, inoltre, l’impegno ed il contatto continuo che i diaconi devono avere con le Scritture, equiparandoli agli altri ministri della Parola. Proprio per questo, essi sono chiamati a « dirigere » come guida le Celebrazioni della Parola di Dio. La Sacrosanctum Concilium contiene un altro punto in cui si ricorda che il diacono è ministro ordinario del Battesimo. « Anche in altri testi conciliari troviamo riferimenti al diaconato ».

[9] Ad Gentes, in Enchiridion Vaticanum, I Documenti Ufficiali del Concilio Vaticano II (1962-65), Dehoniane, Bologna 1979

[10] AG, cit. n. 16.

[11] La Commissione Teologica Internazionale suggerisce che “c’è stato uno spostamento nelle intenzioni del Concilio” circa la restaurazione del diaconato dalla Lumen Gentium (1964) a Ad Gentes (1965). Per il primo documento, il diaconato sembrava primariamente essere uno strumento per garantire le importanti funzioni liturgiche in una situazione di diminuzione di preti, mentre per il secondo esso era “una conferma, un rinforzo ed una più completa incorporazione dentro il ministero ecclesiale di quelli che di fatto esercitavano già il ministero di diaconi.

[12] Paolo VI, Sacrum diaconatus ordinem (18.6.67) in Enchiridion Vaticanum, I Documenti Ufficiali del Concilio Vaticano II (1962-65), Dehoniane, Bologna 1979. Il documento, dopo una premessa nella quale si fa riferimento al n. 29 della LG e al n. 16 di AG, si articola in otto capitoli: I. Competenze dei Vescovi circa il diaconato permanente; II. I diaconi giovani; III. I diaconi di età più matura; IV. Incardinazione e sostentamento dei diaconi; V. Uffici e diaconi; VI. Vita spirituale e doveri dei diaconi; VII. Il diaconato tra i religiosi; VIII. Disciplina nell’ordinazione dei diaconi.

[13] SDO, cit., V, 22, 10

[14] Codice di Diritto Canonico (22 febbraio 1983),  can 1031 §2,

[15] Ambrogio, De Officiis, 41, 205-207

[16] F. Moraglia, San Lorenzo proto diacono della Chiesa romana, Relazione tenuta ai diaconi in occasione del Giubileo 2000

[17] Moraglia, San Lorenzo cit.

[18] La testimonianza di Ambrogio è particolarmente significativa: “… Lorenzo … vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò … a dirgli a gran voce: ‘Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro? … Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri?”

[19] Una ai membri del I Congresso internazionale sul diaconato (25/10/65), in Insegnamenti di Paolo VI, III, TPV; l’altra ai componenti la  Commissione di studio per il diaconato permanente (24/2/67), in Insegnamenti di Paolo VI, V, 75, TPV.

[20] Ai componenti la  Commissione di studio per il diaconato permanente (24/2/67).

[21] Paolo VI, Ad Pascendum (15/8/72), in Enchiridion Vaticanum, I Documenti Ufficiali del Concilio Vaticano II (1971-73), Dehoniane, Bologna 1979.

[22] Paolo VI, Ad Pascendum cit., Introduzione, 118

[23] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, Esortazione apostolica post-sinodale su L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo (8 dicembre 1975), n. 68

[24] Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (22 novembre 1981); Lettera Apostolica  Vicesimus Quintus Annus (4 dicembre 1988); Esortazione Apostolica Post-Sinodale Christifideles Laici (30 dicembre 1988); Esortazione Apostolica Catechesi Tradendae (30 Dicembre 1988); Esortazione Apostolica post-Sinodale Pastores Dabo Vobis (25 marzo 1992); Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in Africa (14 settembre 1995); Lettera Apostolica  Dies Domini sulla santificazione della Domenica (31 maggio 1998); Esortazione Apostolica post-Sinodale sull’Incontro con Gesù Cristo vivo, via per la conversione,  la comunione e la solidarietà in America (22 gennaio 1999);Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001);Esortazione Apostolica post-Sinodale  Ecclesia in Oceania (22 novembre 2001); Esortazione Apostolica post-Sinodale  Ecclesia in Europa (28 giugno 2003); Esortazione Apostolica post-Sinodale  Pastores Gregis (16 ottobre 2003)

[25] Discorso tenuto da Giovanni Paolo II ai delegati vescovili per il diaconato permanente e ai diaconi promosso dalla CEI, Roma 16/3/85, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII.1, 648, LEV.

[26] Discorso tenuto ai diaconi statunitensi il 19/9/87, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X.3, 654, LEV.

[27] Il Papa ha tenuto queste catechesi nelle udienze del 6, 13 e 20 ottobre del 1993, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI.2,  951, 1000, 1053, LEV.

[28] Angelus per il Giubileo dei Diaconi (20 febbraio 2000), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II,  XXIII.1, 217-218, LEV.

 

[29] Giovanni Paolo II, discorso tenuto il 30/11/95 in occasione dell’Assemblea plenaria per il Clero, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII.2, 1284, LEV.

[30] Giovanni Paolo II, discorso tenuto il 30/11/95, cit., in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII.2, 1284, LEV.

[31] Codice di Diritto Canonico, cit., Can. 236, 1° e 2°; Can. 276 – § 1, 1°-5°; Can. 287 – § 1;  Can. 288; Can. 1008;           Can. 1009 – § 1, § 2; Can. 1035 – § 1; Can. 1301 – § 2, 3, 4.

[32] Vedi l’excursus sull’idea di fare da ponte o mediare nel testo della CTI, Il diaconato, cit, 92-93.

[33] CTI,  Il diaconato, cit., n. 93.

[34] Giovanni Paolo II, Catechesi udienza, in Insegnamenti, cit., 1000, LEV.

[35] Congregazione per il Clero e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium, e Directorium pro ministerio et vita diaconorum permanentium, Città del Vaticano,  22 febbraio 1998

[36] Basta leggere i dati statistici attualmente disponibili: su un totale di 34.520 diaconi nel 2006, l’America del Nord ne conta da sola un po’ più della meta, cioè 18.261 (52,9%), mentre l’Europa ne enumera 10.805 (31,3%); ciò rappresenta per i Paesi industrializzati del Nord del pianeta un totale di 29.066 diaconi (84,2%). Il rimanente 15,8% si suddivide così: America del Sud: 2.899 (8,4%); America Centrale e Antille: 1.553 (4,5%); Africa: 421 (1,22%); Asia: 300 (0,87%). L’Oceania chiude l’elenco con 264 diaconi, cioè l’0,76% del totale. Il diaco­nato si è sviluppato soprattutto nelle società industriali progredi­te del Nord. Ciò non era stato affatto previsto dai Padri concilia­ri quando avevano chiesto una «riattivazione» del diaconato per­manente. Si aspettavano piuttosto uno sviluppo rapido nelle gio­vani Chiese in Africa e in Asia, nelle quali la pastorale si appog­giava su un gran numero di catechisti laici. […] Le statistiche ci permettono di intravedere che si è dovuto reagire a due situazio­ni molto diverse. Da una parte, la maggior parte delle Chiese nell’Europa Occidentale e nell’America del Nord hanno dovuto far fronte, dopo il Concilio, a una diminuzione molto forte del nu­mero dei preti e hanno dovuto procedere a una riorganizzazione significativa dei ministeri. Dall’altra, le chiese sorte in maggio­ranza dagli antichi territori di missione si erano date da molto tempo una struttura ricorrendo all’impegno di un gran numero di laici, i catechisti.

[37] Congregazione per l’Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium cit., n. 11

[38] Congregazione per il Clero, Directorium pro ministerio et vita diaconorum permanentium cit., n. 43.

[39] Come si legge nella «Nota preliminare», il documento è frutto di un lavoro decennale di due Sottocommissioni e della revisione della Commissione in seduta plenaria. Esso costituisce una espressione significativa della funzione dei teologi nella Chiesa, che consiste nell’«acquisire, in comunione con il Magistero, un’intelligenza sempre più profonda della parola di Dio contenu­ta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa» (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, La voca­zione ecclesiale del teologo [1990], n. 6).

[40] CTI,  Il diaconato: evoluzioni e prospettive cit., Cap. VII, II. Implicazioni della sacramentalità del diaconato.

[41] Leggiamo in un passaggio: «L’esercizio concreto del diaconato nei diversi ambienti contribuirà anche a definire la sua identità ministeriale, modificando, se necessario, un quadro ecclesiale nel quale il suo vincolo con il ministero del vescovo appare appena, e la figura del prete è identificata con la totalità delle funzioni ministeriali. A ta­le evoluzione contribuirà la coscienza viva che la Chiesa è “co­munione”». (IV/2).

[42] Nell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Sacramentum caritatis, del 22 febbraio 2007 ai nn. 26, 39, 51, 53, 61, 75, 94; Il discorso tenuto ai diaconi del Brasile, il 12 maggio 2007; Udienza al Clero della diocesi di Roma, 8 febbraio 2008.

[43] Benedetto XVI, Lettera Enciclica, Deus caritas  est, Città del Vaticano, 25 dicembre 2005, Ed. LEV.

[44] Benedetto XVI, Deus caritas  est cit., n. 22.

[45] Benede
tto XVI, Deus caritas  est cit., n. 21

[46] Benedetto XVI, Udienza ai Diaconi Permanenti della Diocesi di Roma, Roma, 18 febbraio 2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1, 196, LEV.

[47] Benedetto XVI, Udienza al Clero della diocesi di Roma cit.

[48] Scrosanctum Concilium, n. 41: C’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera al medesimo altare, cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri (i diaconi)

[49] SC cit.,  n. 10

[50] SC cit.,  n. 10

[51] J. Ratzinger, Chiesa, Ecumenismo e Politica, Nuovi saggi di ecclesiologia, Ed. Paoline, Cinesello Balsamo 1987.

[52] Rapporto di Hannover della Commissione Internazionale Anglicano-Luterana (Londra, Anglican Commission Publications, 1996), Il Diaconato come Opportunità Ecumenica, n. 22

[53] L’Instrumentum Laboris, del XII Sinodo dei Vescovi del 12 giugno 2008, su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, afferma al n. 49: Anche per i presbiteri e i diaconi la conoscenza e la familiarità con la Parola di Dio riveste un aspetto di primaria importanza in vista dell’evangelizzazione, a cui sono chiamati nel loro ministero. Il Concilio Vaticano II afferma che necessariamente tutti i chierici, in primo luogo i presbiteri e i diaconi, devono conservare un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi vano predicatore della Parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta di dentro (cf. DV 25; PO 4). Corrisponde a questa dottrina conciliare la disposizione canonica circa il ministero della Parola di Dio affidato ai presbiteri e ai diaconi come collaboratori del Vescovo.

[54] Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo (DE), 25 marzo 1993, n. 12.

[55] Rapporto al Sinodo Generale della Chiesa d’Inghilterra da parte di un Comitato di Lavoro della Camera dei Vescovi.

[56] Commissione per la Fede e l’Ordine, Consiglio Mondiale delle Chiese, Battesimo, Eucaristia e Ministero (Rapporto di Lima), Documento su Fede ed Ordine, n. 111 (Ginevra, Consiglio Mondiale delle Chiese, 1982).

[57] Rapporto di Lima (Ginevra, Consiglio Mondiale delle Chiese, 1982), cit.

[58] Pontificio Consiglio unità dei cristiani. Direttorio cit., 70

[59] Pontificio Consiglio unità dei cristiani. Direttorio cit., 91

[60] Rapporto di Hannover, Il Diaconato, cit., nell’ordine nn. 28, 51, 22.

[61] Rapporto di Hannover, Il Diaconato,cit., n. 28

[62] Rapporto di Hannover, Il Diaconato, cit., n. 51

[63] W. Kasper, Leadership in the church: How traditional roles can serve the Christian church today, (Tr.) Brian McNeil, New York: Crossroads, c2003.

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