Diácono Enzo Petrolino: “El Diácono a la luz de la Evangelii Gaudium” V

 

d. La scelta preferenziale dei poveri

«Una Chiesa povera e per i poveri» e, perciò, veramente diaconale: è questo il desiderio che accompagna fin dall’inizio il ministero di Papa Francesco. Un desiderio che si ritrova continuamente come criterio-guida di quel rinnovamento spirituale ed ecclesiale tracciato con grande efficacia proprio nell’EG: Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù » (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa (EG, 198).

Ritrovare nella gioia del Vangelo la vera ricchezza che la Chiesa è chiamata a vivere e testimoniare. La tradizione latino-americana relativa alla scelta preferenziale dei poveri e alla Chiesa povera trova pieno riscontro nell’esortazione papale. Si sente la profonda continuità costruita attraverso il magistero e la prassi delle Chiese di quel continente – questo continente – negli ultimi cinquant’anni, come anche le fatiche, i contrasti e le maturazioni relative sia alle teologie che alle pratiche pastorali. La purificazione dalle scorie ideologiche e dalle pigrizie interessate permette una sorprendente chiarezza nella denuncia dell’«autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria» (n. 202). «Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato» (n. 204), a meno che non intendiamo rinunciare a parlare di etica personale e collettiva, di solidarietà, di distribuzione dei beni, di lavoro, di dignità dei deboli. Troppo forte è ormai l’urgenza della scelta dei poveri; e non per ragioni puramente sociologiche, ma per ragioni più propriamente teologiche. E proprio questa dovuta e necessaria conversione verso i poveri, deve collocare i diaconi nel loro giusto contesto ecclesiale e ministeriale, per rendere visibile lo stretto legame della mensa del corpo di Cristo alla mensa dei poveri, e dell’eucaristia alla

carità. Questa assimilazione sacramentale a Cristo non è un fatto soggettivo e impalpabile che accade nel vuoto della storia, ma un evento che si compie nella realtà concreta di una determinata chiesa locale, e in assenza di questo respiro ecclesiale, le opere di carità rischiano di ridursi ad espedienti organizzativi rivolti a lenire i bisogni solo materiali e comunque momentanei dei poveri. Senza crescita ecclesiale, il servizio dei diaconi rischia di essere frainteso e diventare un sorta di impegno “su commissione” destinato a risolvere, seguendo scelte ispirate o dettate dall’urgenza, i bisogni contingenti e i problemi occasionali e logistici delle singole chiese. Come, purtroppo, spesse volte, è accaduto. La diaconia secondo il modello conciliare, invece, è una riproposizione del “comandamento nuovo” consegnato da Cristo ai suoi discepoli, e in tale contesto la testimonianza del servizio diaconale è destinata a diventare il segno storico: profezia e, insieme, impegno concreto. Se per i laici l’impegno nel mondo è un campo d’azione oltre che possibile anche doveroso, più articolata e complessa si presenta la questione per i diaconi, i quali, come segno dell’amore di Cristo soprattutto per i poveri e i bisognosi, sono costantemente chiamati a preoccuparsi del senso della vita dell’uomo in qualsiasi condizione egli venga a trovarsi. E qui si profila una sfida profonda e radicale. I mutamenti storici che segnano le società del nostro tempo e la realtà ecclesiale ci devono spingere e convincere a maturare un profilo diaconale per certi versi nuovo, che scaturisca dalla scoperta e messa in atto delle potenzialità di servizio richieste da un tessuto sociale come quello odierno, troppo spesso dominato dall’interesse e lacerato dal compromesso e dalla prevaricazione: è proprio qui, infatti, in mezzo agli uomini che lavorano, soffrono, vivono la loro ricerca di senso, che il diacono è chiamato a testimoniare lo spirito delle Beatitudini e a rivelare con la sua presenza il Cristo-Capo di un mondo nuovo, tutto da costruire. È innegabile che per il suo essere “nel mondo”, impegnato su fronti difficili e chiamato a difendere il valore della persona “in situazione”, il diacono vive le tensioni di un continuo confronto con i conflitti inevitabili nel progredire della storia. I poveri protagonisti del Vangelo

L’inclusione sociale dei poveri diventa qui qualcosa di più che una politica sociale. Diventa la prospettiva stessa del nostro vivere in società, l’aspetto che continuamente ci ricorda il motivo ultimo per cui esiste la comunità politica. Trova spazio, esplicitamente o implicitamente, tutta la riflessione della Dottrina sociale della Chiesa sulla solidarietà e il bene comune, visti questa volta dal punto di vista dei poveri. La crisi economica fa aumentare le disuguaglianze e, quindi, anche i poveri e la povertà. Un nuovo sguardo sui poveri a partire dai poveri evangelicamente intesi sarà di grande aiuto per tutti. Il testo dell’Esortazione, a questo proposito, contiene delle salutari provocazioni indirizzate all’economia e alla politica affinché rimettano al centro di se stesse la persona umana e un autentico bene comune. Secondo papa Francesco, dobbiamo farci guidare sempre dall’essenziale, e l’essenziale, nella vita del diacono, va donato a tutti. Per essere donato a tutti però bisogna assumere il principio, che il tempo è superiore allo spazio (EG 221)! Esso, spiega il Papa, «permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» (EG 223). Dare priorità al tempo significa per il diacono (ma vale per tutti) occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Questo principio, bene manifestato nella parabola del grano e della zizzania, il Papa stesso in EG 225 lo riferisce all’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cf. Gv 16,12-13). Da qui il pericolo di certe operazioni, che identificano il messaggio con alcuni suoi aspetti da cui non appare il cuore del Vangelo; il pericolo dell’essere come «ossessionati dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (EG 35). Ne deriva il principio: Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più

bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa (EG 35).

Conclusione

Ogni diacono è insieme un apostolo e un servitore: mai “schiavo” dell’agenda dei suoi impegni e sempre capace di “trascurare gli orari” per aprire tempi e spazi ai fratelli, secondo lo stile di Dio improntato alla “mitezza”. È il pensiero che Papa Francesco ha espresso all’omelia della Messa presieduta in Piazza San Pietro nel giorno del Giubileo dei diaconi. Vivendo così, ha detto loro il Papa, il vostro servizio “sarà evangelicamente fecondo”. Uomini a servizio, disponibili e miti, perché Gesù lo è stato per primo. La vocazione, anzi l’ambizione del diacono – afferma Papa – non può essere diversa da questa. Servitore di tutti, del fratello atteso e di quello non previsto, elastico nell’accogliere e fare spazio a chi ha bisogno, non un burocrate del sacro per cui anche la carità, la vita parrocchiale, sono regolate da un orario di servizio. Francesco ricorda con le parole di un Padre della Chiesa che il primo “diacono di tutti” è stato Cristo e che lo stesso San Paolo, scrivendo ai Galati, si presenta sia come “apostolo” che come “servitore”. “Sono due facce della stessa medaglia”, osserva il Papa, perché “chi annuncia Gesù è chiamato a servire e chi serve annuncia Gesù”: “Il discepolo di Gesù non può andare su una strada diversa da quella del Maestro, ma se vuole annunciare deve imitarlo, come ha fatto Paolo: ambire a diventare servitore. In altre parole, se evangelizzare è la missione consegnata a ogni cristiano nel Battesimo, servire è lo stile con cui vivere la missione, l’unico modo di essere discepolo di Gesù. È suo testimone chi fa come Lui: chi serve i fratelli e le sorelle, senza stancarsi di Cristo umile, senza stancarsi della vita cristiana che è vita di servizio”. Per riuscire in questa missione è necessario, indica il Papa, un allenamento quotidiano alla “disponibilità”, a donare la vita. “Chi serve – sottolinea Francesco – non è un custode geloso del proprio tempo, anzi rinuncia ad essere il padrone della propria giornata”: “Chi serve non è schiavo dell’agenda che stabilisce, ma, docile di cuore, è disponibile al non programmato: pronto per il fratello e aperto all’imprevisto, che non manca mai e spesso è la sorpresa quotidiana di Dio. Il servitore è aperto alla sorpresa, alle sorprese quotidiane di Dio”. Il servitore, prosegue, sa servire senza badare al “tornaconto”, aprendo “le porte del suo tempo e dei suoi spazi a chi gli sta vicino e anche a chi bussa fuori orario, a costo di interrompere qualcosa che gli piace o il riposo che si merita”. E qui, Francesco stacca gli occhi dai fogli dell’omelia per ripetere una considerazione che per lui è come una spina nel cuore: “Il servitore trascura gli orari. A me fa male al cuore quando vedo orario – nelle parrocchie – da tal ora a tal ora. Poi? Non c’è porta aperta, non c’è prete, non c’è diacono, non c’è laico che riceva la gente … Questo fa male. Trascurare gli orari: avere questo coraggio, di trascurare gli orari”. Il Vangelo è pieno di storie di padroni e servitori. Nel brano liturgico del giorno spicca la vicenda del centurione che implora da Gesù la guarigione di un servo a lui caro. A colpire, nota Francesco, è l’estrema delicatezza con cui un ufficiale dell’esercito romano si premura di non disturbare il Maestro, affermando che com’è sufficiente per lui dare un ordine sapendo che verrà eseguito, anche per Gesù sarà lo stesso: “Davanti a queste parole Gesù rimane ammirato. Lo colpisce la grande umiltà del centurione, la sua mitezza. E la mitezza è una delle virtù dei diaconi… Quando il diacono è mite, è servitore e non gioca a scimmiottare i preti, no, no… è mite. Egli, di fronte al problema che lo affliggeva, avrebbe potuto agitarsi e pretendere di essere esaudito, facendo valere la sua autorità; avrebbe potuto convincere con insistenza, persino costringere Gesù a recarsi a casa sua. Invece si fa piccolo, discreto, mite, non alza la voce e non vuole disturbare. Si comporta, forse senza saperlo, secondo lo stile di Dio, che è ‘mite e umile di cuore’”. Questi, conclude il Papa, “sono anche i tratti miti e umili del servizio cristiano, che è imitare Dio servendo gli altri: accogliendoli con amore paziente, comprendendoli senza stancarci, facendoli sentire accolti, a casa, nella comunità ecclesiale, dove non è grande chi comanda, ma chi serve. E – soggiunge – mai sgridare: mai!”: “Ciascuno di noi è molto caro a Dio, amato e scelto da lui, ed è chiamato a servire, ma ha anzitutto bisogno di essere guarito interiormente. Per essere abili al servizio, ci occorre la salute del cuore: un cuore risanato da Dio, che si senta perdonato e non sia né chiuso né duro (…) Cari diaconi, potete domandare ogni giorno questa grazia nella preghiera, in una preghiera dove presentare le fatiche, gli imprevisti, le stanchezze e le speranze: una preghiera vera, c
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